I Teatri alla Città

UNA DOLOROSA PREMESSA

Questo è un tempo difficile. Un tempo in cui ci viene chiesto di essere prudenti e coraggiosi: ecco, spero che questo articolo abbia la prudenza di chi ha affronta terre pericolose e il coraggio di camminare in quelle terre senza infingimenti.

La ragione per cui scrivo questo pezzo è di ordine politico: il mio pensiero non si fonda sulla passione dimostrata in oltre trent’anni di frequentazione del teatro (su cui purtroppo mi toccherà tornare), ma sulla necessità che sento come cittadino di riappropriarmi di spazi che non possono restare interdetti alla vita civile. Se qualcuno, quindi, volesse usare contro questo discorso il marchio del dilettante impresso sulla pelle del professore o peggio la vanità di chi scrive è pregato di non continuare nella lettura.

Qualche giorno fa, Gabriel Vacis, ha scritto attraverso i social media una lettera per riaprire il Teatro Carignano di Torino e tutti gli altri teatri d’Italia. L’idea del Maestro non è quella di un ritorno alla normalità, ma piuttosto una vera e propria rivoluzione. I teatri, afferma l’autore e il regista di Settimo Torinese, si aprivano al pubblico soltanto per le due o tre ore dello spettacolo. E’ arrivato il momento di tenerli aperti tutto il giorno, venerdì e sabato, anche la notte. Aprirli veramente.

Io partirei proprio da quella che può apparire un’utopia, partirei con l’accettare la sfida di ripensare al teatro come luogo del fare anima, il luogo in cui il cittadino, la comunità intera, possa recuperare la propria l’umanità, perduta rincorrendo logiche puramente economiche.

Quando ero giovane, molto giovane, pensavo si potessero esprimere le proprie idee attraverso Manifesti, traducendo i pensieri in parole ed affidando poi le parole alla forza ferma della scrittura. Continuo a credere alla giustezza di questo processo, ma ritengo che non sia sufficiente scrivere del generale. E’ responsabilità di ognuno di noi, di ogni cittadino intendo, misurarsi con il particolare e rivendicare nella comunità che si abita il proprio ruolo.

Quando è arrivato il lockdown ad Aprustum si stava pensando alla messinscena di Oliver Twist, il saggio finale del laboratorio che Massimo Gatto, professionista del territorio e Presidente dell’associazione, aveva tenuto con il gruppo dei più piccoli. Un lavoro importantissimo, non per il percorso artistico della compagnia, ma piuttosto per il valore pedagogico che assume un saggio mettendo fine un lungo percorso di apprendistato teatrale fatto con tanti ragazzi, oltre 15 in questa occasione. L’ultima riunione, fatta il 6 marzo, proprio a casa di Massimo, ha avuto come oggetto l’organizzazione di questo saggio, poi fermato dalle ragioni che conoscete. In quella riunione si era deciso che il saggio si sarebbe fatto a Morano, perché le risorse finanziare non erano sufficienti a sostenere i costi del Teatro Sybaris.

In 25 anni di attività Aprustum non aveva mai preso una tale decisione, non era mai successo che un saggio venisse fatto fuori dalla città per motivi meramente economici. Io manifestai in quella riunione le mie perplessità, ma oggi posso usare le argomentazioni di quel giorno a prestito per questa disamina.

Chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale riconoscerà nell’episodio, appena raccontato un segno evidente del fatto che la nostra comunità in questi anni non ha operato nel modo giusto. Quando parlo di comunità intendo tutti, ogni gruppo, ogni singolo operatore, ogni amministratore e ogni amministrato. Io per primo.

Posto che non è nell’interesse di chi scrive attribuire colpe, proviamo a capire invece in che direzione muoversi, come si può riportare il teatro al centro del percorso culturale della nostra città.

GLI SPAZI ORGANIZZATIVI

La prima questione riguarda gli spazi organizzativi. Un’amministrazione cittadina ha il dovere di prendersi cura del terzo settore, provando a mettere a disposizioni spazi alle realtà operanti da tempo sul territorio. Sollevare le associazioni dal pagamento di pigioni, almeno quelle che possono dimostrare una presenza storia, 3, 5, 10 anni a seconda del numero di spazi che verrebbero fuori da un censimento, sarebbe un primo importante contributo. Non parlo di spazi per le attività di spettacolo, chiaramente, ma di spazi organizzativi, spazi dove l’associazione può riunirsi, conservare i suoi documenti, riporre ordinatamente materiali usati quotidianamente, progettare il suo agire nel territorio. Le associazioni sono tante, gli spazi non sufficienti potrebbe essere la prima e giusta obiezione: il fatto è che a causa di una impossibile equivalenza fra spazi e gruppi spesso si decide di non scegliere. Uno dei drammi della politica, intendiamoci non parlo della politica cittadina, è quello di sottrarsi alle scelte per non scontentare nessuno. A fine 2018, per esempio, per una diatriba fra gruppi non si riuscì a presentare il progetto di proposta di per le manifestazione “Città del libro”, organizzata dal CEPEL. Anche per quel caso non è importante stabilire colpe, ma comprendere come le logiche di parte siano dannose. La politica deve mediare e infine scegliere senza cedere al ricatto dell’urna. Se i posti sono dunque pochi, si stabiliranno criteri che saranno stringenti, si procederà a fare delle graduatorie e infine si assegneranno i pochi spazi a beneficio dei luoghi stessi e dell’intera città.

GLI SPAZI DI SPETTACOLO DAL VIVO PUBBLICI.

La seconda direttrice riguarda i luoghi destinati allo spettacolo dal vivo. La nostra città ha un teatro pubblico, aperto nel 2000 e tuttora operante, il Teatro Sybaris, e fra qualche mese, dovrebbe avere all’attivo anche il Teatro Vittoria, che grazie ad un finanziamento ottenuto dalla Giunta Lo Polito sarà completato. Questi due teatri pubblici possono essere gestiti dal Comune di Castrovillari, chiedendo un impegno specifico alle compagnie cittadine. Il ruolo del decisore politico è quello di valorizzare le differenze, anche profondissime, che esistono fra Scena Verticale e Khoreia 2000, fra Aprustum, la Compagnia della Chimera, i Pirrupajini, garantendo a tutti un accesso al teatro che non abbia costi economici, ma specifiche responsabilità.

Su questo credo di poter portare come esperienza la gestione di una piccolissimo spazio, il teatro Temple, a Sassuolo, città di circa 40.000 abitanti, che dopo il 2014, in seguito alla chiusura del teatro Carani, si è ritrovata senza infrastrutture per lo spettacolo dal vivo. Fu allora, che la piccola sala del Temple, divenne un’occasione di gestione di comunità, dove ognuno poteva rivendicare, grazia ad una convenzione (potete leggerla qui) scritta con molta fatiche e a molte mani, il proprio sacrosanto diritto di esistere.

Da domani non sarà più pensabili poter affidare spazi pubblici a imprenditori privati che gestiscono con logiche economiche. L’imprenditoria, anche quella dello spettacolo, ha il diritto di ricercare utili nelle attività di impresa, ma non può farlo con strutture pagate dai contribuenti e soprattutto non può essere d’intralcio al lavoro di ricerca e sperimentazione che serve a far crescere ogni forma d’arte. Pagare il teatro di una città per una prova o addirittura non avere occasione di farla prima della rappresentazione è cosa che non deve più succedere. Così come non può più succedere che una scuola pubblica debba rinunciare al teatro perché non può permettersi il lusso di pagarlo. Se c’è una proprietà, parola odiosa, del Teatro, beh quella è in capo alle compagnie di questa città, che con il loro lavoro hanno popolato le platea, riempito le galleria, educato il pubblico, offerto a tanti ragazzi la gioia di calcare le tavole del palcoscenico. Alcune di queste compagnie erano a Castrovillari prima dell’apertura del Teatro Sybaris e lo saranno dopo l’inaugurazione del Teatro Vittoria.

GLI SPAZI PRVATI DI SPETTACOLO DAL VIVO.

Nella nostra città esistono anche esperienze di piccoli teatri. I primi due teatri sono stati Il TEATRO DELLA SIRENA e il CAFFE’ TEATRO DEL PIANTO E DEL RISO. Il primo è venuto meno con la scomparsa del compianto Giuseppe Maradei, ma credo ancora sia presente l’associazione che lo gestiva, il secondo traferito in via L. Miraglia, con una sede molto più piccola, è di fatto impossibilitato ad organizzare eventi come nel passato. Inoltre, sono attivi il Teatro di KHOREIA 2000 e di TEATRO DELLA CHIMERA. Esperienze importantissime, tutte, che andrebbero messe a sistema. Dal mio punto di vista, quello dell’amatore appassionato che ha concorso a far nascere due piccoli spazi, risulta chiaro che i piccoli teatri saranno condannati alla morte, o peggio all’inconsistenza. Il distanziamento sociale, che in qualche maniera può convivere con forme e strutture grandi è inapplicabile in spazi che avevano meno di 99 posti, o addirittura meno di 50. Il 16 giugno scade un importante Bando Culturability, perché non provare ad immaginare un futuro comune.

FINANZIAMENTI

Il paragrafo sui finanziamenti, che richiederebbe convegni e certo non articoli, non può che essere di mero principio e fermarsi alla politica culturale cittadina. La strada da perseguire è certamente quella di sostenere i più deboli, offrendo comunque un contributo di palco (fra il 5 e il 10% delle quote percepite per le attività di carattere nazionale?). Ormai è sempre più accettata l’idea che la contribuzione non sia solo di carattere finanziario, ma possa venire appunto dalla messa a disposizione di strutture, maestranza, come spesso accade in eventi complessi quale per esempio IL CARNEVALE DEL POLLINO, PRIMAVERA DEI TEATRI o l’ESTATE INTERNAZIONALE DEL FOLKLORE. L’Amministrazione Comunale dia quello che deve alle grandi, storiche manifestazioni della città, ma rivendichi, con coraggio la scelta fatta di sostenere i piccoli e i piccolissimi. Quando Aprustum fece la sua prima rappresentazione, nel 1996, un telegramma dell’allora Sindaco Riccardo Vico e un piccolo contributo fu sufficiente a farci sentire apprezzati e riconosciuti nel nostro sforzo.

SISTEMA E CITTA’ FESTIVAL

Riportare tutte le attività culturale del nostro territorio ad un piano di sistema è un altro passaggio obbligato. La costruzione della FONDAZIONE CITTA’ FESTIVAL, proposta da Sergio Gimigliano, andava propio in questa direzione. Trasformare il lavoro dei singoli in importante sinergie è il punto di partenza di ogni discussione. Io sarei più povero e più stupido di quello che sono se non avessi avuto la fortuna di godere degli spettacoli ospitati da Primavera dei Teatri, sarei più misero se non avessi fatto esperienze meravigliose lungo la strada delle maschere offerte dal nostro Carnevale, sarei più solo se non avessi incontrato Fabio Pellicori, che ha messo a disposizione il suo spazio, lo scorso anno, per la prima di Finale di Quadrimestre… potrei continuare con altri esempi, ma mi fermo per pietà del lettore.

LO STRUMENTO DEI PIANI DI ZONA

Quello che si dovrebbe fare è istituire dei tavoli territoriali, a scadenza periodica. In Emilia Romagna esisteva la cultura dei Piani di Zona, piani territoriali che vedevano gli attori sociali confrontarsi sulla progettazione. I servizi ai cittadini erano pensati in relazioni alla esigenze di ogni singolo comune, evitando comunque inutili duplicati nei comuni vicini e cerando logiche territoriali. Pensare al territorio come un tessuto fatto di molti fili è l’unico modo per superare l’incomprensibile sindrome del genio che credo ci sopravviverà quando tutto sarà morto per colpa della nostra stessa miopia e del nostro insano e stupidissimo egoismo.

CONCLUSIONE

Come spesso mi ripete mio amico Massimo, io faccio il professore, vivo del mio stipendio, ma non si può godere della propria modesta abitazione se intorno si alzano minacciose le macerie della cosa pubblica. E’ tempo di ritornare a discutere senza pregiudizi, riconoscendo i meriti degli altri e accettando i propri limiti. Per il teatro a Castrovillari non si dovrà ripartire da zero. La nostra città, grazie a Primavera dei Teatri, al lavoro di Dario, Saverio, Settimio, Tiziana è famosa in tutta Italia. Visto che la Primavera, quest’anno arriverà più tardi, si usi questo tempo per fare rete, si torni a logiche di comunità, i più forti aiutino i più deboli a crescere. Il Carnevale di Castrovillari, l’altra importante manifestazione del territorio che ha scommesso su Organitno, abbia il coraggio di aprire una finestra seria sul teatro in maschera, investendo una parte significativo del proprio budget.

Abbiamo l’obbligo di pensare ai nostri ragazzi imprigionandoli nella rete della bellezza. C’è bisogno dello sforzo concorde di tutti. Se perdiamo quest’occasione forse ce ne sarà un’altra, ma intanto avremo sacrificato altre due o tre generazioni, consegnandole al male e alla stretta miseria di ciò che è banale. A Salvini per dirla in una parola, che sul teatro e la cultura sosteneva il Ministro Tremonti, quello delle battute su Dante e panini.

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