In principio il Verbo era “aiutiamoli a casa loro”. Deve essere stato per questo che qualcuno, un giorno, legati stretti gli affetti, decise di partire. Uno, poi un altro, poi un altro ancora fino al numero di 15.864, tanti sono i cooperanti impegnati in missioni internazionali. Di questi 2090 sono italiani: gli uomini 758, le donne, più coraggiose, 1332. Fra queste donne Silvia Romano, ventitreenne milanese, impegnata come volontaria nel piccolo villaggio kenyota di Chakama, alle spalle della foresta di Malindi. Silvia è giovane, piena di speranze. A guardarla in una delle tante foto che girano in queste ore, dopo il rilascio in seguito al rapimento avvenuto lo scorso 20 novembre, sembra felice. La sua è probabilmente era una felicità senza misura, come ricordava Eraldo Affinati, ripescando una bellissima poesia di Saba. Io invece, leggendo la bestialità social, ripenso allo sguardo mite di Montale, che ammirava da lontano la giovane Esterina.
Difficile dire cosa sia successo alla giovane Silvia Romano durante gli oltre 500 giorni di prigionia, quali siano le ragioni che l’abbiano spinta a cambiare nome in Aisha e convertirsi all’Islam.
Pur rifiutando una lettura ingenua dei fatti, colpiti dal ritorno di una ragazza con il velo, che non soddisfa il ricordo che avevamo di lei, sparigliando la logica delle vittime e dei carnefici a cui ci si aggrappa in casi come questo, chiediamo di poter prendere in prestito lo sguardo di una mamma: quello capace di riconoscere la propria figlia oltre ogni paramento
Mentre gli psicologi potranno legittimamente discutere della sindrome di Stoccolma, a me non resta che ricordare che amare il mondo è rischioso, ma non si conosce altro modo di vivere.
Silvia è libera!
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Vi propongo due articoli molto diversi:
Le “colpe” di Silvia Romano di Manginobrioches
La conversione di Silvia riguarda tutti noi di Umberto Galimberti
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Supplica alla Madre di P.P.Pasolini (letta dal poeta stesso)
È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
Pier Paolo Pasolini Da Poesia in forma di rosa
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