Le ultime lettere della buona condotta.
6 Giugno 2020
Carissimi ragazzi e genitori,
quello che è accaduto in questi mesi è un fatto senza precedenti e seppure le dimensioni della catastrofe che si è abbattuta su molti Paesi tende a placarsi è importante continuare a pensare al futuro con responsabilità.
L’anno scolastico 2019/2020 sarà ricordato nel tempo come un anno specialissimo: i racconti della chiusura delle scuole per decreto sopravviveranno a tutti noi e probabilmente solo la distanza e la storia saranno capaci di dipanare una matassa ancora troppo difficile da sbrogliare. Servirà tutto il coraggio del caso per sfuggire alla retorica della scuola che continua a distanza, alla predica degli eroi e alla paura che ancora imbratta i muri delle nostre case.
Abbiamo fatto qualche passo prudente fuori dalle nostre aule, abbiamo sperimentato una forma diversa di contatto, ma la scuola resta un’esperienza insostituibile. L’incontro quotidiano fra ragazzi che tendono lo stesso arco di vita, la presenza in aula, il corpo vivo prestato a precise parole e a gesti inequivoci è il cuore stesso della scuola.
Il dialogo fra persone che s’incontrano nella stessa chiesa è il fondamento della comunità. Al dialogo non basta un interesse finto a distanza, pretende, piuttosto, la condivisione di uno spazio fisico, lo scontro, il sudore e la fatica del coesistere. Separare lo studente dalla comunità scolastica, relegandolo al ruolo di fruitore di contenuti, significa distruggere l’idea stessa per cui la scuola è nata.
Oggi, dopo 47 anni di vita, la gran parte dei miei amici è rappresentata dai miei compagni di studi. E’ con loro che ho camminato per tutto questo tempo, è grazie a loro che non mi ha vinto lo sconforto ed è loro merito se la scuola non si è fermata agli anni di formazione. L’imperativo categorico per oltre 50 giorni è stato quello di restare a casa, ma il nostro per oltre trent’anni è rimasto uscire assieme.
Quello che vi auguro in questo ultimo sabato di scuola chiusa è di tornare all’incontro, di vedervi di più, più di quanto facevate prima. Auguro a voi e alle vostre famiglie di riprendere al più presto il commercio con gli altri. E’ questa l’attività più importante che un insegnate svolge in aula: tentare di educare ad essere socievoli, dimostrare che essere solidali con i propri compagni di viaggio è l’unico modo per crescere e vivere felici.
Quanto a me, non posso far altro che ribadire che è stata una lunga e penosa mancanza.
Vi abbraccio forte e contro ogni regola,
il vostro professore.
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“Signor direttore, la risposta alla sua lettera del 14 aprile 1976, n°740/B3 avente per oggetto “pagelle del II trimestre”, è ovvia: non darò, come sempre ho fatto, le pagelle. Consegnerò le pagelle soltanto alla fine dell’anno scolastico, perché così vuole il regolamento e perché solo in tale momento esse diventano atti d’ufficio. Durante l’anno scolastico le pagelle, così come sono concepite e come debbono essere compilate, sono un insulto all’intelligenza umana, e pertanto un atto ineducativo per eccellenza. È mai possibile realizzare un atto ineducativo in una scuola che vuole educare? Sembra di si, anche se le pagelle (con la relativa classificazione) distruggono il rapporto che intercorre tra insegnante e ragazzi, impediscono di realizzare ogni azione di recupero degli elementi disadattati e realizzano quel tipo di scuole distributrice di semplici informazioni che ogni educatore disapprova, dato che il compito fondamentale delle Scuole e di aiutare degli individui (credo che sia scritto nei programmi ministeriali).
“Ora, poiché anch’io, così, umilmente, ritengo che la scuola debba essere il luogo dove l’individuo viene educato a pensare, non posso accettare una classificazione che distrugge ciò che intendo realizzare. Per farmi meglio comprendere, dovrei risalire ad un certo signor Kant che affermava che il maestro non deve insegnare pensieri, ma deve insegnare a pensare. Se non sbaglio questa affermazione è in uno di quei libretti scritti da questo signore, un qualcosa simile ad una critica di non so quale ragione. Ma non voglio tediarla con cose che lei senz’altro sa, per cui mi limito a chiederle:
1° – La scuola tradizionale faceva immagazzinare Conoscenze, allenava soltanto la memoria, ma trascurava di coltivare l’abitudine al ragionamento. È lei d’accordo che la Scuola deve favorire le occasioni per porre gli alunni di fronte a problemi da risolvere per acuire il loro senso critico, per abituarli a riflettere, a giudicare obbiettivamente sulla base delle informazioni, i fatti e gli avvenimenti che accadono? Se è d’accordo, pensa che si possa classificare da 0 a 10 l’abitudine al ragionamento, il senso critico e così via?
2° – È d’accordo che l’intelligenza, alla nascita, non è uno strumento completo al quale manca soltanto il SAPERE per entrare in funzione, ma è un POTERE di adattamento che cambia e si perfeziona attraverso l’esperienza, l’attività, i contatti con gli altri? (psicologia genetica). È d’accordo pertanto che esperienza, attività, contatti, sono pertanto scambi che provocano degli accrescimenti intellettuali? Se è d’accordo, pensa che si possa classificare questo accrescimento intellettuale? E se sì, in base a che cosa? Ad un medium, a qualcosa di inesistente realizzabile soltanto sulla carta? O forse ritiene che ogni qualsiasi classificazione passa distruggere il desiderio e le capacità di realizzare esperienze, attività, contatti? È d’accordo che ogni essere ha una propria individualità, un ritmo personale di crescita e una sua intelligenza, un suo carattere, un suo tamponamento? Se è d’accordo, ritiene possibile classificare un individuo in base ad un sistema che non tiene conto né della personalità, né del ritmo di crescita, né del temperamento e di tutto il resto? O ritiene che è meglio classificare così si può distruggere tranquillamente l’individualità e realizzare un tipo medio dotato della stupidità necessaria per vivere accettando ogni imposizione?
3° – È d’accordo che la scuola deve educare alla collaborazione, ossia, per essere chiaro, educare ad essere socievoli, solidali, sentirsi parte della comunità? Ritiene che possa sussistere una collaborazione in un ambiente dove si tende ad ottenere, in qualsiasi modo, una votazione più alta di quella del compagno?
“Signor direttore, lei sa che non ho mai classificato nessun compito, e pertanto i ragazzi hanno appreso a lavorare perché è bello scoprire cose nuove; hanno appreso ad aiutarsi perché – data la mancanza di ogni tipo di classificazione hanno scoperto che da più gioia il dare che il ricevere: hanno appreso ad essere coscienti delle loro possibilità perché non hanno mai avuto il terrore di dimostrare la loro ignoranza. Ed io ho potuto tranquillamente rimproverare il ragazzo che sbagliava una inezia, ma che POTEVA non sbagliare, ed ho potute dire bravo e chi sbagliava quasi tutto il lavoro, perché non riusciva ancora, per il suo ritmo personale di crescita, a COMPRENDERE. Solo così ho potuto recuperare elementi che erano stati definiti irrecuperabili, o che sarebbero stati veramente irrecuperabili se il voto fosse piombato loro addosso come strumento di tortura e catena che avrebbe impedito di proseguire ad andare avanti. Non ho mai dato voti, pertanto non ho dato mai pagelle.
“Tutte le pagelle, consegnate ogni fine di anno, come attesta la dichiarazione allegata alle consegne di fine anno, sono state realizzate d’ufficio. Tutti i ragazzi hanno avuto la medesima votazione, perché il compilatore non poteva giudicare. Il documento serviva ad attestare la promozione alla classe superiore. Ho firmato queste pagelle perché questo dovere non distorce il rapporto tra i ragazzi e me. Ora se qualcuno mi dimostrerà che dare i voti e compilare una classificazione (sia pure a parole) è un mezzo che aiuta i ragazzi a crescere in intelligenza, in solidarietà, in amicizia, allora darò i voti, e le relative pagelle. Ma questo qualcuno deve dimostrarmelo. Altrimenti, rimango fermo nella mia decisione di non classificare un individuo soltanto perché un regolamento superato lo afferma. Penso che sia più importante difendere l’uomo, che non le cose vecchie dell’uomo. Lei mi chiede di assicurare in proposito. Credo di averla assicurata.
Cordialmente, Alberto Manzi”
Apparso su Asteriscoduepuntozero
Come avete detto la scuola è al termine, anzi si può dire che è terminata. Ho solo delle poche parole da dire: sono delle parole di ringraziamento che vorrei porre fortemente a tutta la comunità, ma anche e soprattutto, visto che si parla di scuola, ai nostri professori che sono stati presenti e disponibili, dimostrandoci che anche in momenti difficili si può andare avanti… quindi GRAZIE di tutto Prof.
Credo che nessuno possa dimostrare il contrario. Ciò che dice è indiscutibile.
Speriamo che l’anno prossimo la scuola riparta al meglio, tornando tutti nelle aule e lasciandoci la didattica a distanza alle spalle.
Purtroppo è stato un periodo difficile per tutti, ma piano piano ci riprenderemo e saremo più forti di prima.
Parte di questo difficile periodo è passato siamo riusciti comunque a fare scuola, una scuola diversa. Pur non avendo insegnanti e compagni fisicamente vicini, abbiamo capito che il nostro unico obbiettivo è apprendere senza che qualcuno giudichi con un voto.
Questo anno scolastico per me è stato davvero particolare. Tutto è iniziato dal fatto che ho cambiato scuola e ho dovuto iniziare un nuovo percorso. Purtroppo, però, il nuovo inizio è stato interrotto a causa dell’emergenza che si è presentata… un anno particolare, insomma.