La buona condotta, il sabato del villaggio, la prefigurazione della fine e il sei politico.
28 Marzo 2020
Quello di oggi è uno strano incrocio: un impasto che mette assieme due farine, che ormai uso due o tre volte a settimana da un paio di anni (La buona condottae Il Sabato del villaggio) e che prometto smetterò di impastare non appena sarà finito quest’incomprensibile periodo. Mischiare le cose, si sa, è pericoloso. Dall’incrocio fra animali di razze diverse, o dall’unione di uomini e bestie sono venute fuori strane creature, ma, per dirla con Pavese, non si può fare a meno della mitologia. Mi perdonerete, dunque, se come il dottor Frankenstein, provo a cucire pezzi nella speranza di generare un cuore.
L’anno di inizio di questa storia è il 1968: anno in cui la contestazione studentesca imperversava, invocando la fantasia al potere. Durante quel periodo gli studenti contestatori rivendicavano il sei politico, indipendentemente dal risultato degli esami. In alcune scuole e facoltà universitarie, poche per la verità, il sei politico, gli esami autogestiti e il 18 di prassi provarono a rompere lo schema di un sistema di istruzione-formazione che manteneva, nonostante i tempi, un retaggio classista e fascista. Le posizioni di gran parte della Sinistra, sulle vicende che riguardavano la scuola, riprendeva il monito di Don Milani, che incitava i ragazzi ad impegnarsi di più, incalzava i figli degli operai e dei contadini a studiare il doppio rispetto ai figli di papà. Erano tempi diversi da questi, vissuti con il demone della passione politica, con Pasolini che spiazzava tutti guardando con simpatia ai poliziotti, figli della povera gente.
Cosa avrebbe scritto oggi il poeta di Casarsa? Quali parole avrebbe usato per raccontare il misero dibattito sulla valutazione, che attraversa la scuola pubblica, costretta alla chiusura dalla Pandemia? Come avrebbe giudicato l’estremo tentativo da parte dell’ordine costituito di salvare se stesso attraverso un voto, fingendosi pronto e funzionante?
Se sollevassimo la maschera dietro alla quale la scuola italiana si è nascosta per decenni non si troverebbe nemmeno un mucchio d’ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto, una triste replica di un Presidente del Consiglio che annuncia una diretta Facebook per presentare un DPCM ancora non scritto.
Non si tratta di un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé.
Oggi di fronte all’impossibilità di raccontare la bellezza delle lucciole, tramontato definitivamente il mito della Montedison, morto Arbasino e il suo mondo, io sono pronto a perorare l’unica causa che mi sembra possibile: quella dell’amnistia, qualcosa di simile all’indulgenza plenaria concessa dal successore di Pietro a tutta la comunità cristiana.
Un’amnistia che salvi ognuno di noi, un provvedimento di clemenza, una resa incondizionata della Chiesa e dello Stato in vista di una sincera pacificazione e di una strenua lotta unitaria contro la natura matrigna. Non un sei politico, un generico volemose bene, concesso per grazia agli studenti (che scontano una pena durissima pagando la colpa dei loro padri incapaci), ma un atto di verità che impegna tutti a ricominciare daccapo.
L’unica cosa che l’educazione può insegnare è la pietà e la necessaria solidarietà che ne consegue. Quella che si è fatta spazio fra le tende divelte dal vento, fra le stanze disorganizzate dei nostri ospedali, la stessa pietà che ride degli eroi nei palazzetti trasformati in obitori.
Smettiamo la recita, restituiamo alla verità il suo soldo.
La scuola, e purtroppo tante altre istituzioni civili, hanno perso, piegati da un virus funesto (che la natura sa essere matrigna) e da quarantene differenti (che non tutti possono godere del frigo pieno e di una fibra più veloce dei runner a cui servono solo i propri piedi dati in dono da Dio). I limiti, quelli della scuola e prima ancora i nostri, nascosti sotto il tappeto delle astruse circolari, nei nostri potentissimi registri elettronici, sono usciti allo scoperto. Li abbiamo visti dai nostri balconi.
Proviamo almeno a non renderci ridicoli facendo finta di poter valutare. Non è tempo di eroi solitari che contano le fatiche altrui.
Ci si salva assieme, tutti. Promossi senza voti e senza infingimenti.
La pietà non vi sia di vergogna.
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