Generalmente arrivati al 7 maggio l’unica cosa che conta è mettere un punto all’anno scolastico. Farla finita!
Sessanta giorni di lockdown sono stati lunghissimi da attraversare e i duecento giorni di scuola sarebbero sembrano un fardello altrettanto insopportabile da portare: fatiche, insomma, ma a guardarci bene ci si rende conto che ben altri sono i pesi che opprimono l’umanità.
Helin Bölek, per esempio, a Istanbul aveva resistito 288 giorni senza cibo, prima di spegnersi. Mustafa Kocak è morto dopo 297 giorni di cibo rifiutato, denunciando le torture subite e chiedendo un processo equo, dopo la sua condanna all’ergastolo.
Ibrahim Gökçek ha tenuto duro per 323 giorni continuando a rivendicare la scarcerazione immediata di tutti i membri del suo gruppo musicale, l’annullamento del mandato di cattura per gli altri musicisti, la fine delle irruzioni della polizia nel centro culturale Idil e la cancellazione del divieto di esibizione.
Partiamo dall’inizio.
Suonare in una band è una delle cose che può capitare a giovani adolescenti appassionati di musica. Non un fatto di eccezionale importanza nella vita di un ragazzo che gode pienamente del proprio stato di libertà.
Ecco, questa è la storia di una band. Una come tante, ma con la differenza determinante di vivere in un posto in cui le libertà individuali non sono esattamente quelle che ci aspetteremmo.
E’ la storia di Grup Yorum, una formazione folk fondata nel 1985, nata da quattro amici nell’Università di Marmara, politicamente appartenenti all’area Socialista Internazionalista e come tali perseguitati dal Regime Turco.
La loro musica è stata e continuerà ad essere non solo divertimento, svago, come spesso capita alle band di giovani adolescenti, ma impegno professionale a favore della democrazia e della libertà di stampa. Ben presto le loro canzoni sono diventate motivo scontro con il Governo di Ankara e i membri del gruppo perseguitati ed arrestati. Ciononostante la band non si è mai arresa alle accuse di appartenere ad un’organizzazione terroristica, il Partito del Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (DHKP-C).
Nel 2002 due donne della formazione, Selma Altin, cantante e Ezgi Dilanm, violinista, vennero arrestate e torturate dalle forze di sicurezza turche. L’arresto avvenne presso l’Istituto Forense di Istanbul, insieme con altri 25 giovani, mentre manifestavano per reclamare la restituzione del corpo di un ragazzo rimasto ucciso nell’attacco a una stazione di polizia nel quartiere di Gazi.
Le cose sono diventate via via più difficili fino all’ultimo concerto dal vivo del gruppo, che risale al 2015, prima che fosse loro impedito di suonare dal governo turco. Dopo il tentato golpe del 2016 con cui Erdogan ha avviato una stagione di epurazioni, alcuni di questi musicisti sono diventati il simbolo della resistenza alla repressione che si è tradotta in un numero spropositato di detenzioni. Trentamila stimati su 300mila detenuti totali.
Oggi, Ibrahim Gökçek, dopo aver piegato il governo turco, sconfitto da una sentenza della Magistratura che revocava al gruppo l’interdizione a suonare che l’aveva colpito nel 2016, si è spento, consumato da un virus che tutti dovremmo contrarre: il virus della libertà.
Seppellitelo in montagna!
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