C’è una parola che torna in questo tempo e che non è facile da decifrare.
E’ una di quelle a cui spesso, nei vostri commenti, avete appeso la difficoltà di questi giorni. Il suo campo semantico getta i DaD(i) di oggi sul tavolo del delle arti liberali e del loro significato.
Nella ricerca di senso, che angoscia inutilmente l’uomo, ci si domanda a cosa possa servire l’arte, la letteratura, la musica?
Molti di voi non faranno alcuna fatica a proporre argomenti in difesa dell’utilità della musica (lo avete dette ampiamente nei vostri commenti agli album che vi ho proposto in questa piccola rubrica), ma se il dubbio di oggi viene messo in relazione a questo tempo sospeso, a questo periodo in cui l’umanità è alle prese con il dolore dei propri limiti, si può rispondere con la stessa facilità di ieri?
Qui vi propongo una poesia di Salvatore Quasimodo “Alle fronde dei salici”, scritta durante l’occupazione nazista a Milano, pubblicata sulla rivista Uomo e poi inserita nella raccolta Giorno dopo giorno del 1947.
E’ una poesia che tenta di dare una risposta alla domanda centrale di questa bagattella. Può la poesia, l’arte, la musica, essere di consolazione?
Le sue parole del 1946, contenute nel saggio intitolato “Poesia contemporanea” e nella rivista “La fiera letteraria” (1947), sulla necessità di “Rifare l’uomo”, vanno lette con attenzione:
“Io non credo alla poesia come ‘consolazione’, ma come moto a operare in una certa direzione in seno alla vita, cioè “dentro” l’uomo. Il poeta non può consolare nessuno, non può abituare l’uomo all’idea della morte, non può diminuire la sua sofferenza fisica, non può promettere un eden, né un inferno più mite […] Oggi poi, dopo due guerre nelle quali l’”eroe” è diventato un numero sterminato di morti, l’impegno del poeta è ancora più grave, perché deve rifare l’uomo, quest’uomo disperso sulla terra, del quale conosce i più oscuri pensieri, quest’uomo che giustifica il male come una necessità, un bisogno al quale non ci si può sottrarre […] Rifare l’uomo, è questo il problema capitale […] quest’uomo che giustifica il male come una necessità […] quest’uomo che aspetta il perdono evangelico tenendo in tasca le mani sporche di sangue. Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle speculazioni è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno”.
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ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
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La musica non consola di Giuseppe Fantasia
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