Le regole sono uno degli argomenti più discussi nella quotidianità dell’aula. Non è difficile immaginare i motivi di decine, centinaia, migliaia di contese fra studenti ed insegnanti.
In ormai quasi quindici anni di professione ho avuto diverbi di tutti i tipi con i miei studenti.
Le giustificazioni, il bagno, i compiti, le entrate e le uscite dalla classe, il cibo consumato nell’aula, le carte abbondante, le lattine sotto il banco, gli scherzi molesti e quelli meno aggressivi, i telefonini, le chiacchiere improvvide.
Qualche volta mi è capitato persino di arrabbiarmi, e forse addirittura di portare il mio malumore a casa dentro la mia borsa.
Ho provato, però, in ogni occasioni a spiegare ai miei studenti che proprio quelle regole, spesso vissute come astratte, fredde, ostili alle passioni e alla vita, sono invece strumento di salvezza. Che pure i geni scomposti e turbolenti, per dirla con Claudio Magris, che hanno fatto della propria arte la sovversione a regole, forme, modelli imposti dal potere e dalla tradizione (spesso fratelli), sono approdati ad altre regole, alle volte addirittura più rigorose e stringenti.
Se, in questi anni, l’educazione ha rimosso completamente, in nome del desiderio e della sua istantanea soddisfazione, il sacrificio imposto da una regola, è stato forse per via di un liberismo a buon mercato, affrancato dalla morale.
Ciò non toglie che l’amore, la passione, la libertà, il cielo pur non essendo a buon mercato, sono cimenti di difficile misura, maldisposti a sopportare le regole e i confini…
Allora?
Può essere utile imparare che persino il colore del cielo, riscoperto in questi giorni, può avere una gradazione di azzurro insospettata, velata dai nostri mille impegni e dalla certezza di poter godere di quel bene: come se gli occhi beneficiassero del filtro imposto dal balcone o dal piccolo giardino di casa, un verde asciutto, dove la dura poesia dei divieti, che dobbiamo imparare a rispettare, fa brillare il firmamento.
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Da leggere La poesia delle regole che ci rende dignità nel dolore di Claudio Magris
Vice veris
Mai una primavera come questa
È venuta nel mondo. Certo è un giorno
Da molto tempo a me promesso questo
Dove tutto il mio sguardo si fa eguale
Ai miei confini, riposando; e quanta
Calma giustizia nel pensiero è in fiore
Quanta limpida luce orna il colore
Delle ombre del mondo. Ora conosco
Perché mai degli inverni ove a fatica
Si levò questo esistere mio vivo
M’è rimasto quel nome, che mi scrivo
Su quest’aria d’aprile, o sola antica
E perduta oltre il pianto sempre cara
Immagine d’amore mia compagna.
Franco Fortini (1917-1994)
da ‘Foglio di via e altri versi‘, Einaudi, 1946
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