La buona condotta del 8 maggio 2019.

Nella mia vita ho sempre attribuito ai libri un ruolo chiave.

Pur non avendo genitori con grande attitudine alla lettura, arrivavano a casa puntualmente i giornali (tante volte dimenticati sui treni o sugli autobus dove mio padre lavorava) e il corriere dei piccoli. Papà non mancava settimanalmente di farci dono del corrierino.

Più avanti furono i libri di Newton Compton, in particolare la collana dei Grandi Tascabili Economici e poi quella dei Mammut a regalarmi a prezzo contenuto ottime letture.

All’università le cose si fecero più complicate, i libri costavano di più, ma nonostante ciò ho sempre rifiutato il rito del libro fotocopiato, di moda nell’università dei poveri, ma belli. C’era una libreria ad Arcavacata di Rende, si chiamava Ti con zero, Dio li abbia in gloria, che ci faceva credito e piano piano io ed altri colleghi pagavamo le meraviglie di una lettura che ti accompagnava senza timore di restituzione.

Con Angela, avevamo un conto al Punto Einaudi. Andavamo in centro, a Cosenza, e mensilmente pagavamo una piccola rata per recuperare libri che altrimenti non avremmo mai potuto acquistare, visto il prezzo di copertina.

Quando non potevamo permetterci di comprare (la mia era una famiglia monoreddito), allora si ricorreva al prestito bibliotecario, rimandando l’appuntamento con l’allora impossibile proprietà.

La scelta dei libri è stata una costante del mia formazione: per un periodo ho esercitato addirittura l’incauta professione del libraio.

Forse è per questo che non riesco a sopportare il Collegio Docenti di maggio. La ratifica dei libri da adottare, come rito collettivo, è quanto di più squallido si possa immaginare. Nella lettura e nella scelta di ciò che si legge a se stessi e agli altri vive la libertà dell’uomo: si costruisce lo spazio della Democrazia.

Ogni insegnante dovrebbe essere incoraggiato ad esercitare questo atto proprio dell’uomo libero. Invece si richiedono relazioni, cifre, tetti da non superare, si finisce per copiare i bugiardini delle case editrici.

Cos’è un libro di testo a scuola? A cosa serve?

L’incontro con un testo è indispensabile per chiunque voglia esercitare la propria professione con consapevolezza e lealtà.

Ascoltare le parole di un altro uomo, percepire voci che vengono da lontanissimo a raccontare storie, significa restituire ai nostri allievi la complessità del mondo.

Interpretare è l’atto fondativo della mia professione.

Lo scopo dell’educazione – dice Romano Luperini – è quello di dare un senso alla vita. Dando un senso al testo s’impara a dar senso alla vita. Interpretare un testo significa interpretare il mondo.

In classe porto i libri che ritengo utili, il mondo che mi capita di guardare. Un manuale non basta, un libro si tiene assieme ad altri: da solo in uno scaffale non sta in piedi.

I libri non si adottano, siamo noi ad essere loro figli.