La buona condotta del 7 marzo 2019.

I telefonini sono una maledizione. Forse la più tragica delle piaghe, dai tempi del Faraone. Mi chiedo, come sia possibile accettare, con remissiva pazienza, una tale barbarie. Mi chiedo perché la nostra società civile abbia deciso di immolare tanti giovani all’altare dell’ignoranza, della perenne distrazione e della solitudine.

Naturalmente la colpa non è dei miei studenti, che chattano, condividono, affogano negli schermi, ma è degli adulti che li hanno portati sulla battigia del virtuale.

Non sono un apocalittico, uno di quelli che rimpiange i pomeriggi passati a conversare di nulla, o uno di quelli che crede che internet sia strumento del demonio: ho amato i computer e prima i videogiochi e ancor prima tenevo d’occhio, assieme a Salvatore, la pallina del flipper.

Ma il flipper ed i cabinati non entravano in classe e se proprio volevi distrarti a lezione, allora dovevi inventarti qualcosa assieme al tuo compagno di banco, dovevi progettare un altro mondo dove strane figure venivano impiccate.

Il punto è filosofico: riguarda la pratica dell’essere, l’essere nel mondo direbbe Heidegger, pensatore immenso non adatto alla banalità di questo diario minimo .

Nessun attività dell’uomo può essere concepita senza adesione al reale. Il rampicante e la cancellata sono elementi inscindibili nell’immaginario dell’essere.

Cosa sarebbe dell’essere se si potesse trovare ogni volta un altro modo, una via di fuga, se non si fosse costretti alle pratiche contingenti della quotidianità spiccia ed angosciante.

Cosa sarebbe il mondo direbbe un altro pensatore, che con l’esistenzialismo ha ben poco a vedere, se non ci fosse la gabbia della routine?

La verità è che non è possibile vincere con chi promette senza correre mai il rischio di mantenere ciò che ha promesso.