Kuroko prima di kuroco

Lo spettacolo di Davide Enia, Italia – Brasile 3 a 2, non è la cronaca di una partita di pallone, né un racconto sul calcio, ma lu conto di un’epopea, la rievocazione di un mito, ormai leggendario, mai scritto, eppure tenuto a mente, come nella migliore tradizione dei cunti, da tutti quelli che ebbero la fortuna di assistere ad una epifania del pallone.

Il racconto comincia con le cifre del mondiale: cifre simboliche, affidate alla cabala, alla scaramanzia di un rito, che rivive ogni quattro anni. Nell’attesa di ciò che dovrebbe accadere da un momento all’altro, l’avventura della nazionale italiana di calcio ci sembra suggerita dalla vicenda personale di Garrinchia, leggendario giocatore del Brasile, zoppo e con la mania del calcio.

Entrambi sembrano segnati da un destino comune di sconfitta, ma a volte contrari ai voti sono poi i successi.

Con la partita Italia – Brasile, la storia cede il passo al mito. La narrazione affonda le scarpe in un terreno complicato, salvandosi dalla cronaca dei fatti. Cronaca nota a tutti e perciò alterata in maniera mirabile, dall’attore/autore Davide Enia: una voce concitata che tenta, pare, di restituire la rincorsa di un pallone che sfugge a tutti e detta le regole di un gioco, in cui persino Italia e Brasile sembrano vittime inconsapevoli, scambiandosi finanche i nomi: siamo noi il brasile!, urla ad un certo punto l’uomo lucido, spettatore della leggendaria partita.

La prova dell’autore/attore appare convincente e la musica, usata in maniera discreta, non manca mai all’appuntamento con la sfera, come plabito. Il testo, scritto splendidamente, insegue i tempi del gioco vincendo la partita con lo spettatore addormentato. Leggermente dissonanti le due digressioni narrative di Garrincha e della ribattezzata Star Kiev. Il racconto dell’ultima partita dei campioni di Kiev è l’unico limite del testo, non tanto per lo stile, né per la sistemazione al di fuori della cornice narrativa, bensì perché ci restituisce l’impressione di una preoccupazione autoscale, quella di affrancare il testo da un giudizio di eccessiva leggerezza senza che ve ne sia alcun bisogno.