Peccati Capitali

Accidia, avarizia, gola, invidia, ira, lussuria, suprbia sono ancora peccati di moda?

Castrovillari, fra il 1 ottobre ed il 7 Ottobre 2000, ospiterà il primo festival dedicato a vizi capitali. Una Kermesse culturale, promossa dall’Associazione culturale Aprustum e finanziata dal Gal Pollino, la Regione Calabria, la Comunità europea ed il Comune di Castrovillari. A colloquio con la Professoressa Casagrande e  la Professoressa Vecchio, studiose dei sette vizi capitali (“I sette vizi Capitali nel Medioevo”, Torino, Einaudi, 2000) cerchiamo di capire se un festival dedicato ai sette peccati capitali sia solo un capriccio.

Professoressa Casagrande, accidia, avarizia, gola, invidia, ira, lussuria, superbia sono ancora peccati di moda? Che senso ha parlare dei vizi capitali alle porte del nuovo millennio?

In un certo senso possiamo dire che accidia, avarizia, gola, invidia, ira, lussuria e superbia sono ancora vizi “di moda”. Basta pensare all’uso che di questi concetti viene fatto in ambito giornalistico, pubblicitario, cinematografico o televisivo. Certo, il senso in cui li usiamo oggi  è molto diverso da quello che potevano avere nella cultura medievale, dove rappresentavano la sintesi di una complessa dottrina teologica e morale capillarmente diffusa e universalmente condivisa.

Professoressa Vecchio, si può parlare ancora di vizi capitali?

I riferimenti attuali ai vizi capitali prescindono ormai quasi totalmente dalle radici teologiche che per secoli hanno alimentato quella classificazione. Eppure quei sette nomi conservano ancora una forza evocativa e retorica notevole. L’idea dei vizi capitali rappresenta una metafora potente, che viene ormai utilizzata anche in contesti totalmente laicizzati, una sorta di categoria mentale applicabile negli ambiti più disparati.

Professoressa Casagrande, Tommaso D’Aquino sosteneva che un vizio è vizio capitale quando ne genera un altro. Che intendeva a suo avviso?

Tommaso, ma prima e dopo di lui l’intera cultura medievale, hanno sistematicamente ribadito l’idea che esistono dei ‘supervizi’, i sette vizi capitali appunto, dai quali dipendono tutti i peccati possibili. Si tratta di un’idea forte e suggestiva, perché consente di pensare all’universo del male come a qualcosa di profondamente unitario, ma al tempo stesso articolato e diversificato, dominato al suo interno da precisi rapporti gerarchici, in cui i vizi principali occupano la posizione dominante, ma nessuna colpa, nemmeno la più piccola, rimane fuori.

Professoressa Vecchio, che tipo di ricerca avete realizzato sui vizi capitali nel Medioevo?  

Abbiamo seguito per ciascuno di essi le svolte fondamentali di una storia lunghissima, che va grosso modo dal V al XV secolo, mostrando come superbia, invidia, ira, ecc., pur rimanendo pressoché immutati nelle definizioni che i teologi ne hanno dato, cambino i loro contenuti nel corso dei secoli. Tutti i vizi nascono in ambiente monastico, ma poi si trasformano, e si applicano perfettamente ai comportamenti dei laici: basti pensare all’accidia, vizio monastico per eccellenza, che alle soglie dell’età moderna assume la fisionomia di due atteggiamenti molto diversi come la pigrizia o la malinconia. Attraverso la storia dei peccati abbiamo voluto mostrare le vicende dell’intera cultura medievale e le eredità che essa ci ha lasciato.

Immagine di Ilara D’Amato (particolare)