Buona condotta del 26 novembre 2018.

Anche la scuola ha le sue competizioni.

Competere è un verbo che andrebbe eradicato, come certe malattie che colpivano i nostri figli: la poliomielite  (scomparsa dal 1979 in America e dal 1982 in Italia), il vaiolo (eradicato dal 1979). 

Gareggiare, concorrere in rivalità con altri, dimostrare di essere superiore è uno dei problemi maggiori del mercato del nostro tempo.

In più occasioni ho avuto modo di scrivere che una delle ragioni a cui si deve il fallimento della Buona Scuola, di renziana memoria, è quella di aver sottovalutato l’idea della cooperazione educativa: premiare singole persone, e non consigli di classe, comunità educanti, significa contribuire alla macelleria messicana del valore dell’insegnante.

L’elezione dei docenti in seno al Consiglio d’Istituto è una delle competizione a cui mi capita di assistere da quando frequento la scuola in maniera più o meno consapevole. Sia chiaro che considero la partecipazione agli organi collegiali una prerogativa essenziale della vita scolastica ed ho il massimo rispetto per i colleghi che decidono di assumersi un aggravio di lavoro non retribuito. Tanto è vero che in un paio di occasioni, per due organi diversi, sono stato candidato.  Ciò che però mi lascia ogni volta perplesso è assistere ad una vera e propria contesa, a cui chiaramente non ho mai partecipato né da candidato, e tantomeno da elettore. E’ proprio la contesa che trasforma un’occasione democratica in una battaglia fra vizi e virtù, schierate proprio sul campo della competizione.

I vizi sono molti e le virtù al solito rischiano di perdere.

Fra i capitali vizi, a cui assisto in queste circostanze, c’è quello di porre puntualmente la propria candidatura ad ogni elezione. Conosco colleghi che hanno fatto parte del Consiglio d’Istituto per oltre 15 anni, inneggiando tranquillamente allo slogan dei Cinquestelle “due mandati e poi a casa”. 

Non ho nulla in contrario al terzo mandato, e nessun motivo per dolermi del quarto, se fatto con onestà e competenza, ma la democrazia è un oggetto fragile, da maneggiare con estrema cura. Restare per troppo tempo nelle stanze dove bussano gli altri può  regalare la spiacevole sensazione del capo. Per evitare questa vertigine non mi sono ricandidato dopo la mia prima elezione e non ho mai votato al Consiglio d’Istituto per un collega che già collabora con la dirigenza, pur non esistendo incompatibilità e  stimando i collaboratori che si candidavano. E’ altrettanto vero che non esiste incompatibilità fra il ruolo in Consiglio d’Istituto e quello di RSU. Ma è appropriato ricoprire sia il ruolo del controllato che del controllore contemporaneamente?

Insomma anche in questa occasione scegliere non è semplice. Il mio primo errore da elettore risale ad oltre 25 anni fa. Dopo 5 lustri, continuo a segnare una scheda con il timore di aver sbagliato. 

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La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola “l’ordinamento dello Stato”, sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue […].

Per la scuola di Piero Calamandrei, Palermo, Sellerio, 2008.

Trascrizione del discorso pronunciato al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), Roma 11 febbraio 1950.