Buona condotta del 23 novembre 2018.

Il livore che si respira di questi tempi lascia ferite profonde nella carne dei giovani. Forse è questa la ragione di tanta difficoltà? Questo è il male che la scuola deve affrontare?

Parlare di poesia con i miei studenti è cosa complicata. E’ come se il nichilismo si fosse impossessato della mente dei giovani. Venuta meno la gerarchia del senso, che incoraggiava a separare le cose, ci siamo ritrovati urlanti e senza via d’uscita.

Io faccio l’insegnante e il mio dovere è quello di segnare la strada dei miei allievi, restituire significati nonostante i tempi.

Probabilmente la poesia è il punto più alto della mia professione e tale altezza non favorisce il mio indice, tantomeno quello proposto dal libro di testo.

La funzione poetica del linguaggio è l’anno zero della mia antologia, ma io sono alla ricerca di un segno minimo, qualcosa di primitivo, un argomento prelinguistico. Ho imparato la lezione di Friot, che Dio lo conservi in salute, consegno loro un foglio e chiedo di riempirlo.

Non è importante sapere cosa scriveranno.

Qualcuno proverà a ricordare un passo di Leopardi, altri si tireranno fuori dall’impiccio con l’inizio della Commedia. Pochissimi tenteranno un verso.

La vertigine dell’alto è un’oscillazione fastidiosa.

Io aspetto. Paziente. Sono al centro dell’aula. Occupo il mio spazio.

Quando il gioco sarà finito avrò la mia occasione.

La poesia vive nella cura delle cose, nella cura delle relazioni, nelle occasioni che ci toccano in sorte.

Il mio tentativo bislacco di occupare in modo significativo un’ora del loro tempo, sottraendolo alla paura, alla frustrazione, al timore del fallimento, all’anestetico del telefonino è un buon inizio.

Parto da lontano.

Indico il mio foglio bianco, immacolato, come lo spazio della possibilità. Il terreno in cui l’uomo è costretto a muoversi ogni giorno. 

Si può riempire quel foglio in mille modi, usare centinaia di migliaia di argomenti, mille volte la carta servirà solo per la lista della spesa, ma capiterà un giorno di dover scrivere un biglietto con maggior cura. 

Succederà, prima o poi, di doversi piegare per soccorrere un anziano caduto.

Attaccati alla terra  la vertigine dell’altro ci restituirà l’altezza che meritiamo.

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I professori entrano in classe. Ma li vedono in faccia questi ragazzi? Li guardano a uno a uno? Li chiamano per nome? O solo per cognome quando devono essere interrogati? Sanno che la generazione di giovani con cui oggi hanno a che fare, non per colpa dei professori ma a causa delle rapidissime trasformazioni economiche, sociali e tecnologiche che li coinvolgono, sono di una fragilità emotiva impressionante? Sanno che l’emozione, se non trova il veicolo nella parola, ricorre al gesto? Gesto truculento d’amore o gesto truculento di violenza? Ma chi doveva insegnare a questi ragazzi a parlare, a utilizzare quell’abbondante letteratura a loro disposizione che insegna come un’emozione trova forma di parola, di poesia e di sublimazione dell’amore e del dolore? Altrimenti perché leggere Petrarca e Leopardi, Pirandello o Primo Levi?

L’ospite inquietante di Umberto Galimberti, Milano, Feltrinelli, 2007.

5 Replies to “Buona condotta del 23 novembre 2018.”

  • Ogni giorno una poesia. Come una preghiera. Da appendere al muro. Farà compagnia. Comincia qualcuno seguono gli altri. Di qualsiasi autore. Proprie. Le parole condurranno da qualche parte. Forse a casa. E poi c’è il ritmo. Forse anche la musica… Così, solo un inizio di giornata scolastica. Poi si vede.

  • Interessantissimo! Io, insegnante di Musica, proprio grazie alla forza espressiva ed evocativa della musica sono riuscito ad “estrarre”, per molti anni, dall’anima dei miei alunni preadolescenti i pensieri più profondi ed inimmaginabili! Il nichilismo nei giovani è causato, anche, dall’incapacità di noi adulti di comunicare con loro, di credere nella loro ricchezza interiore che viene via via impoverita e svuotata dai troppi esempi negativi che li disilludono, rendendoli sempre più simili al mondo che non sa accoglierli, guidarli e amarli!

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