Buona condotta del 14 novembre 2018.

Questo è il periodo più duro per la mia professione. A novembre i miei studenti mi odiano.

E’ giusto che sia così.

Insegno in un professionale anche quest’anno: voglio che la mia presenza in aula sia un nodo da sciogliere. Non consento l’uso dei telefonini, non voglio che parlino tutti assieme, pretendo che ognuno ascolti l’altro, esigo un quaderno ed una penna. Sono pretese rudi e scoraggianti per i miei studenti di prima.

Ogni volta che qualcuno parla mi fermo. Le pause sono più delle parole. Gli occhi si muovono. Ancora non ritiro i telefonini, ma presto dovrò farmi consegnare gli smartphone.

La consegna dei telefoni è un atto brutale che necessita di un tempo in cui il braccio di ferro e finito, lasciando spazio alla confidenza generata dalla sconfitta.

Leggo l’inizio del Capitolo II dei Promessi Sposi. Gl’incubi di Dona Abbondio si mescolano con i nostri.

La notte durerà almeno fino a Natale.

______________________________________________________

Io li incontro per strada i miei alunni, mentre gridando domandano chi ha uova da vendere, li vedo intorno alle fontane che litigano e bestemmiano aspettando il loro turno per riempire le grandi brocche di creta rossa, in giro per le botteghe. Poi li ritrovo dentro i banchi, chini sul libro o sul quaderno a fingere attenzione, a leggere come balbuzienti. E capisco benissimo che non abbiano voglia di apprendere niente, solo di giocare, di far vibrare lamette e fare conigli di carta, di far del male e di bestemmiare e ingiuriarsi. Prima di cominciare a spiegare una lezione debbo anzi superare un certo impaccio, il disagio di chi viene a trovarsi di fronte a persona contro cui ordiamo qualcosa, e quella non sa, e magari sta credendo in noi. 

Leggo loro una poesia, cerco in me le parole più chiare, ma basta che veramente li guardi, che veramente li veda come sono, nitidamente lontani come in fondo a un binocolo rovesciato, in fondo alla loro realtà di miseria e rancore, lontani come i loro arruffati pensieri, i piccoli desideri di irraggiungibili cose, e mi si rompe dentro l’eco luminosa della poesia. […] E sento indicibile disagio e pena a stare di fronte a loro col mio decente vestito, la mia carta stampata, le mie armoniose giornate. 

Sciascia, Cronache scolastiche, in Le parrocchie di Regalpetra

(Immagine del post: I sogni di don Abbondio, acquerello di Giovanni Battista Galizzi)