Prima del virus

E’ strano, ma pensare ai tempi prima del Coronavirus comincia a diventare difficile. Man mano che i giorni pari si allontanano si scopre l’assurda normalità dei dispari. 

Io, per esempio, prima del Coronavirus facevo l’insegnante, prima del Coronavirus potevo incontrare gli amici, ritrovarmi la sera a provare, azzardare persino qualche spettacolo come attore improvvisato, prima del Coronavirus. Potevo fare qualche passeggiata con chi mi pareva, prendere un caffè appoggiato al bancone di un bar, persino giocare a carte con uno sconosciuto. Prima del Coronavirus potevamo andare a teatro, potevamo riempire i cinema, potevamo sperare qualche mostra d’arte, magari fuori regione. A me è capitato anche di fare qualche presentazione di libri, piena, quasi piena, prima che arrivasse il Coronavirus. Sempre prima, si poteva mangiare fuori, si poteva andare al ristorante, ogni volta che si voleva, anche tutte le sere.

Prima del Coronavirus tutte le scuole erano aperte: dalle scuole materne alle scuole superiori. Tutte le mattina si poteva andare a scuola. Si poteva scegliere di andare a piedi, avendo la fortuna di stare vicino a scuola, prendere l’autobus, o viaggiare con la macchina, magari assieme a qualche collega; per farsi compagnia, mica per la benzina. Prima del Coronavirus la scuola in cui insegnavo io non distribuiva le mascherine, ma era comunque una scuola efficiente. La scuola dove insegnavo io, prima del Coronavirus era una scuola all’avanguardia, era una scuola sicura, a prova di terremoto, era una scuola dove se mai avessi immaginato una catastrofe, di qualunque genere, avrei certamente desiderato essere lì… in quel luogo… esattamente. Sì, perché prima del Coronavirus, io insegnavo. Insegnavo così bene che alle mie lezioni partecipavano decine e decine di studenti, in aule piccole, piccolissime, ma non perché i metri quadrati fossero pochi, perché non c’erano metri quadrati che bastassero alle mie parole. Prima del Coronavirus, io e i miei colleghi al suono della campanella, fra un atto e l’altro, dovevamo tenere le porte chiuse per non lasciare entrare le decine, le centinaia di genitori che, interessati alla scuola, preoccupati per la formazione dei propri figlioli, si riversano nelle aule a domandare una grazia, a fare una preghiera, ad offrire denaro e braccia per l’istituzione scolastica. Prima del Coronavirus gli insegnati giravano per la scuola con fasci di giornali sotto il braccio, libri di letteratura, matematica, fisica, geografia, storia; prima del Coronavirus a scuola c’erano biblioteche meravigliose, zone studio, mense, bar, palestre, prati curati, pergole, sedie con le rotelle e senza, tavolini, ombre meravigliose di querce secolari per ripararci dal sole, quando eravamo stanchi. Prima, nella scuola pubblica all’inizio delle lezioni c’erano gli insegnanti, tutti gli insegnati, specialmente quelli di sostegno: la scuola italiana non conosceva i rinvii, le assegnazioni provvisorie, le utilizzazioni… noi non abbiamo avuto certo bisogno del Coronavirus per comprendere che la nostra missione è quella di aiutare i deboli, proteggere gli indifesi, sostenere i poveri. Prima del Coronavirus tutti gli studenti potevano comprare i libri di testo e puntualmente li avevano sul banco: alla prima ora del primo giorno della prima lezione. Non dovevano aspettare il comodato d’uso. Prima del Coronavirus la scuola era una priorità del nostro Paese e tutti i governi di Destra e di Sinistra avevano dato alla pubblica istruzione il miglior ministro che si poteva: Fioroni di Gelmini, Busetti, Azzolina. Prima del Coronavirus io insegnavo e non dovevo elemosinare un bonus docenti per pagare i libri, perché guadagnavo abbastanza, prima del Coronavirus; prima del Coronavirus arrivavo in macchina a scuola e l’unica cosa di cui mi preoccupavo era quella di insegnare bene, mi preoccupavo di sorridere ai miei studenti, mi preoccupavo di entrare in aula sgombro di sigle. Non c’erano, prima del Coronavirus, la DAD, la DID il PTOF, il POF, il PON, il GLH, il RAV, CDC, CDI, PDP, BES, non c’era niente di tutto questo, prima del Corona-virus. Prima del Coronavirus, esisteva una scuola meravigliosa fatta di pareti dipinte, di lavagne nuove, di tapparelle funzionanti di termosifoni bollenti, fatta di uomini liberi, di Presidi da guardare con ammirazione. Io, persino io, che mi muovevo in tanta perfezione, era diventato un modello per i miei allievi. Prima del Coronavirus sentivo la stima e la fiducia di uomini e donne abbagliati dal blasone della scuola del mio Paese. Mi sentivo amato, protetto, curato dalle istituzioni della Repubblica che parlavano poco di scuola e quando lo facevano sceglievano le parole giuste, confermando ad ogni frase il rispetto che si deve portare a tutto il personale della scuola. Prima del Coronavirus le cose andavano bene, almeno a scuola: gli studenti erano felici di svegliarsi presto per raggiungere un ambiente confortevole e seguire le mie straordinarie lezioni.

Poi è arrivata la Pandemia, le mie lezioni sono peggiorate e la scuola è rimasta vuota… ma non bisogna preoccuparsi troppo. Tutto tornerà come prima e i giorni dispari saranno nuovamente pari.