L’acqua, la palude e la lezione impossibile.

L’ACQUA.

Nella mia scuola c’è una perdita. Non si tratta di una garbata metafora, è più semplicemente il reale malfunzionamento di un galleggiante: probabilmente uno di quelli collocati nelle cisterne, messi a sorvegliare il livello dell’acqua presente. Mi hanno spiegato i miei allievi che è più o meno come quello dello sciacquone che usiamo nel nostro personalissimo bagno e che di tanto in tanto controlliamo… solo più grande. 

I miei studenti amano misurarsi con il comparativo di maggioranza! Pur essendo una discreta perdita, in giardino, bene in vista, io me ne sono accorto solo qualche giorno fa. Per caso. Andiamo con ordine. 

Eravamo alle prese con la lettura di alcuni articoli e commenti sullo sciopero nazionale, che la settimana scorsa ha portato gli studenti a manifestare in settanta piazze italiane. Per l’occasione avevo acquistato tutto l’armamentario politico-giornalistico dell’intero arco parlamentare: dal Giornale al Manifesto. Mentre provavo ad analizzare assieme a loro i testi, cercando di ricostruire i fatti circostanziali della manifestazione e dei presunti scontri di piazza, siamo stati interrotti da rumori provenienti dal pianterreno. Rumori di consolidamento. Sono stati sempre i miei studenti a spiegarmi che il terreno è paludoso e la struttura aveva bisogno di essere sistemata. Ho scoperto solo successivamente da colleghi informati (a scuola ne esistono di diverse categorie) che attorno ai pilastri sono stati inseriti dei rinforzi strutturali in fibre di carbonio. La somma fra spiacevole rumore e inspiegabile sensazione di precarietà da pilastri fasciati ha agevolato la decisione di trasferire la classe in giardino. I 26 gradi di un sole benevolo ed un muretto hanno fatto il resto. Ci siamo sistemati e abbiamo ripreso ad interrogarci sui dati che riguardano l’alternanza scuola-lavoro e sulla natura di questa proposta didattica. Ho provato, attraverso la lettura, a fornire qualche nozione sul testo argomentativo, su come viene strutturata una tesi e su quali processi retorici porta con sé. Nessuna forzatura, nessuna voglia di rubare acqua da un mulino per portarla ad un altro. 

LA PALUDE.

Mi capita, alcune volte commentando un articolo o una pagina di letteratura di sprofondare nella scrittura, inseguendo una notazione lessicale, oppure entrando, perplesso, in una proposizione infinitiva. Sono un docente, ma la mia formazione non deriva da un percorso regolare. Mi trovo ad insegnare italiano, ma ho incontrato il latino da adulto e ancora tante volte resto stupito da costruzioni magistralmente articolate. Riconosco alla retorica un altissimo valore formativo, ma fiuto in alcuni discorsi il pericolo imminente della demagogia. Mentre leggo i giornali vedo i miei studenti scomparire dietro le parole, affondare per conto proprio in una palude nera ma non spiacevole. Capisco che devo tirare le fila, sintetizzare, portare a compimento il discorso. Vorrei poter continuare, vorrei poter leggere un passaggio del libro del professor Nuccio Ordine sulla necessità dell’inutile, accenno ad alcune esperienze in quella che chiamavano l’alta Italia: ragazzi liceali impegnati a provare le loro conoscenze con maestri d’arte; vorrei convincerli che la mano e la mente sono amici, che non esiste una differenza fra un grande cuoco, un pittore, un filosofo. Chi, come me, ha fatto studi tecnici è stato abituato a riconoscere il pratico valore della partita doppia. Studiando i classici sono inciampato in argomenti limite, dove le arti del trivio e del quadrivio dovevano fare necessariamente i conti con quelle della meccanica. Ricordo perfettamente le sfide infinite fra pittori e poeti per celebrare lo scudo di Achille. Li ho persi. Mi fermo. 

Una pausa lunghissima mi soccorre. 

Chiedo loro di raccontare le loro esperienze. 

LA LEZIONE IMPOSSIBILE. L’acqua corre sulla cisterna colma. La terra la raccoglie come può. Quello che segue non è cosa nuova. Alcuni dei progetti formativi dei nostri allievi sanno dei Tempi Modernidi Chaplin. Alunni di un professionale grafico costretti a scontornare centinaia di foto con Photoshop, liceali impegnati, quando va bene, nella guardiania di un museo, ragazzi dell’Alberghiero confezionano biscotti o servono ai tavoli. Potrebbe essere il loro lavoro, direbbe qualcuno. Certo, per molti dei miei ragazzi è già il loro lavoro. Alcuni passano sabato e domenica a fare extraa 30 euro. Sono impegnati come camerieri, oppure in cucina. Arrivano nel locale alle 18.00 ed escono all’una di notte quando trovano qualche titolare pietoso che tiene conto del fatto che al lunedì si torna in aula. La scuola ha deciso di dar loro una mano così, invece del vile denaro, se sono abbastanza grandi da frequentare almeno la classe III di una scuola superiore, possono barattare una paga da fame con qualche credito. Qualcuno ricordava le sperimentazioni nei professionali del Progetto 92e si meravigliava delle proteste. Ecco, vorrei far notare che nel frattempo è cambiato il mondo. Ai tempi del Progetto 92si guardava al lavoro come prospettiva di vita e la dignità del lavoratore era ancora considerata fondamento della convivenza costituzionale. Cos’è rimasto di quel tempo e di quella scuola? Dopo i progetti del 92 ci sono stati d’Onofrio (quello dell’abolizione degli esami di riparazione per capirci), Luigi Berlinguer, la Ministra Moratti, Maria Stella Gelmini, la buona scuola. Uno spazio via via occupato dalle carte e dal bieco utilitarismo. Utiles’ingrassa predicando progetti di educazione alimentare e mangiando nelle pause merendine. I buoni dirigenti ottengono aumenti sacrosanti, tacendo giustamentedel lavoro di chi ogni santo giorno divide con loro tante responsabilità. Schiere di docenti battezzati al sabato libero fingono di non vedere studenti che fumano nei cortili. Non so se la protesta degli studenti abbia qualche legame con ciò che vado scrivendo, ma è certo che nella piana di Sibari quel galleggiante debba essere aggiustato, altrimenti la palude sarà destino inevitabile.

apparso su asteriscoduepuntozero