La buona condotta del 22 febbraio 2019.

Ogni scuola superiore che si rispetti ha le sue atipicità.

Il fatto è che l’istruzione è una macchina complessa e le semplificazioni tante volte sono figli difficili da partorire.

A chi non è del mestiere consiglio di non leggere: lo dico per salvaguardarlo dal mal di testa. Il fenomeno delle classi di concorso atipiche è un pasticcio difficile da comprendere e temo difficilmente sanabile. Sarebbe per questa una lettura doppiamente inutile.

In una vecchia interrogazione parlamentare sulle classi atipiche (n. 3-1644)  fatta il 29 luglio 2015 dal deputato di Scelta Civica Mariano Rabino, l’allora Ministro Giannini sostenne che le classi di concorso atipiche fossero servite per salvaguardare le dotazioni organiche di ruolo degli istituti, per limitare il problema della mobilità, della discontinuità didattica, degli spostamenti del personale a seguito del mutamento dei quadri orario.

Insomma se un insegnante è perdente posto in una scuola, invece di essere trasferito, viene utilizzato nella stessa scuola insegnando materia affine.

Sembrerebbe una scelta congrua e ragionevole, ma ci sono almeno due anelli che non tengono.

Il primo problema è di natura filosofica e riguarda l’agire in deroga. Derogare significa aprire uno spiraglio ad un pericoloso vento. Non è un argomento decisivo, in quanto un mondo senza vento è cosa insperata.

Il secondo anello invece dovrebbe essere ben più robusto e riguarda la qualità dell’insegnamento. L’adozione di una classe di concorso atipica deriva generalmente dalle modifiche fatte con gli anni per riordinare il sistema scolastico.

E’ chiaro che le persone già assunte dal Ministero non possono certo essere buttate fuori dal sistema. Cosa si fa, allora? Si ricorrere ad aggiustamenti in corsa, assegnando il personale presente all’insegnamento di altre discipline.

Un laureato in lettere Classiche più insegnare: Italiano, Storia e Geografia alle scuole Medie, Italiano e Storia alle scuole superiori, Italiano e Latino, Latino e Greco. Quattro classi di concorso diverse (A22, A12, A11, A13).

La carriera di un insegnante però si attesta generalmente su una classe di concorso e le abilitazioni sono generalmente date nella singola classe.

Nel momento in cui il Ministero immette in ruolo l’insegnante acquisisce una sua specificità: Italiano e Storia, Italiano e Latino o Latino e Greco per seguire l’esempio fatto nelle scuole superiori.

Resto un laureato in lettere, ma con una competenza specifica nell’insegnamento di una data materia.

Tale competenza dovrebbe essere certificata dall’abilitazione.

E’ chiaro che in insegnante di Latino e Greco, possa tranquillamente insegnare Italiano e Latino, o Italiano e Storia, ma la sua abilitazione specifica resta quella di Latino e Greco.

L’abilitazione non è data solo da un fatto formale, ma spesso deriva da un percorso di studi lungo e particolareggiato.

Detto ciò sarebbe ragionevole attribuire gli insegnamenti privilegiando prima di tutto le competenze specifiche.

Quando questo non avviene per salvaguardare un perdente posto, che non troverebbe altra collocazione e allora credo che il vento della deroga possa essere un buon vento, ma quando ciò succede per motivi di insensato corporativismo, beh allora il vento è uno di quelli cattivi e alla lunga finisce per fare danni.