La buona condotta del 20 maggio 2019.

Martedì scorso ho avuto il privilegio di essere un maestro, un maestro elementare. Mi sono pregiato, per circa un’ora, di fare il lavoro della Montessori e di Rodari.

Un lavoro senza pari, uno di quelli che gareggia con la meraviglia e il desiderio.

Martedì scorso mi è capitato di pensare che vorrei poter fare, almeno per un ciclo, il maestro. Tornare ad inventare il mio piccolo mestiere.

Non si può.

Uno dei drammi dell’istruzione pubblica italiana è certamente l’eccessiva rigidità del sistema. Sarebbe utile, fatte salve le specifiche competenze, esplorare i diversi gradi dell’istruzione nazionale.

Ci sono ottimi maestri, laureati, che farebbero volentieri un ciclo alle superiori con profitto e tanti professori (io sono uno di quelli) che andrebbero a lavorare con immenso piacere in una scuola elementare.

Non si può.

O meglio in alcuni specifici casi sarebbe possibile, ma solo attraverso una passaggio di ruolo. Una procedura che prevede, secondo le indicazioni ministeriali di effettuare la prova (i 180 giorni di servizio e 120 gg. di attività didattica) ma anche la formazione con tutto ciò che essa comporta. Come se fosse un neoassunto in ruolo. Se è vero che fare il maestro alle elementare e il professore alle superiori possono sembrare (e forse lo sono) mestieri diversi, è altrettanto vero che un pessimo pedagogista resta tale in qualsiasi classe insegni.

Un’inutile complicazione, insomma, che mortifica la possibilità di rompere la routine della professione e che non consente agli insegnanti di procurarsi gli opportuni inciampi del mestiere.

Un’occasione sprecata, l’ennesima.