Il sabato del villaggio del 20 giugno 2020

Dal 5 marzo al 4 maggio scorsi i cittadini italiani, in nome del sacrosanto diritto alla salute, hanno accettato gravi limitazioni alle proprie libertà personali. Lo si è fatto in ragione della più severa crisi sanitaria dell’ultimo secolo, per difendere dalla pandemia le persone più anziane, le donne e gli uomini immunodepressi e per tentare di non caricare oltre il nostro sistema sanitario già al collasso. Ragioni di opportunità hanno convinto il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a firmare numerosi DPCM per salvaguardare la salute degli italiani tutti: i lombardi e i veneti, gli umbri e i laziali, i calabresi e i siciliani.
Oggi, arrivati al 20 giugno, viene però da domandarsi come mai il diritto alla salute non venga difeso quando si tratta di prenotare una visita presso il nostro nosocomio, che continua, però, ad operare regolarmente in regime di intramoenia, oppure ci si domanda come sia possibile  che la stessa salute, difesa strenuamente nei giorni terribili del Covid, non sia guardata, permettendo ad una discarica che andrebbe tombata definitivamente di riaprire allegramente per ordinanza del Presidente della Regione Calabria.
E’ uno strano Paese il nostro, un Paese che permette a 22 giocatori in un campo di calcio di sfidarsi per la finale di una coppa e non ritiene opportuno ripristinare gli esami universitari in presenza, non crede si possa lavorare sul palcoscenico di un teatro. Qualcuno dovrà spiegarci, prima o dopo, magari un bravo scienziato, che razza di virus sia quello che colpisce senza pietà nei teatri, ma diserta i campi di calcio. Che virus è quello che impedisce ad un ufficio pubblico di funzionare normalmente, ma permette ad una fabbrica d’armi di continuare nel suo indispensabile servizio. Si dovrà decidere prima o poi se lo smart working è un modo di lavorare per restare al sicuro oppure un nuovo modo di erogare servizi, laddove possibile. Offrire le medesime prestazioni, lasciando i lavoratori a casa propria, può essere una strada da perseguire, ma certo non possiamo pensare di tenere ancora chiusi gli ambulatori dei medici, di rimandare più in là le prestazioni sanitarie, non possiamo affidarci agli esami o ai concorsi in remoto, non possiamo immaginare una scuola ridotta alla didattica distante.
Se potessi esprimere un debol parere, direi che sarebbe il caso di dismettere la politica del provvisorio, la politica dell’emergenza, direi di cominciare seriamente a pensare cosa vogliamo fare di questo lembo di terra sempre più lontano dall’Europa.

Buon fine settimana, amici.

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