A mani vacanti (e senza berretta).

Si chiamava Concetta Basile, la donna che consegnò a Letterio Di Francia, palmese della fine del XIX secolo, la storia di Re Pepe.

Basile è un cognome importante nella tradizione novellistica italiana e quella che appare solo coincidenza, peraltro unica nell’intero corpus del Di Francia, in verità inventa un legame importante con storie che per molto tempo sono state considerate di minor pregio.

Bisognerà aspettare Calvino, nel 1956, per restituire dignità letteraria a molti cunti dialettali della tradizione popolare degli ultimi cento anni. 

La verità è che l’arte di impastare fiabe è arte antichissima e la grammatica del racconto non è dissimile a certi balli che si ripetono più o meno uguali in tanta parte del mondo.

Chi, domenica scorsa, ha varcato la soglia del Teatro della Chimera, diretto da Fabio Pellicori, in cerca di pietanze dal sapore esotico ha certamente sbagliato ristorante. 

Nel racconto di Re Pipuzzo fatto a mano, ripercorso ed interpretato Dario De Luca (Scena Verticale), non esistono ingredienti pregevoli e non sono presenti particolari spezie. Persino l’elemento musicale, portato in dote da Gianfranco De Franco, resta sottotraccia del testo, eco di una musicalità generata dal soffio del vento. 

Se è vero che le fiabe sono spesso il teatro del meraviglioso è altrettanto certo che le più strane epifanie si materializzano a partire da una noce o una castagna. E’ questo probabilmente il maggior pregio di questo piccolo allestimento, ancora alle sue prime repliche, che rinuncia ad ogni forma di velleitarismo persuasivo, consegnando zucchero e farine alle nostre mani di spettatori.

Persino il finale ricalca le formule sbrigative delle fiabe di Di Francia. Si resta letteralmente a mani vacanti, quando a fine narrazione il gioco del dopo, mutuato dalla grammatica della fantasia costruisce un seguito.

Un seguito provvisorio costretto a convivere con mille altri probabili impasti: dalla bontà presunta al tradimento camuffato.

Una domenica pomeriggio piacevole, al riparo da una pioggia insistente, con lo sguardo all’orecchio acerbo di mio figlio.

Grazie a Dario e ancor di più a Fabio, che continua caparbiamente a proporre teatro di qualità in una piccola sala che, guadagnato il rispetto del pubblico, meriterebbe il sostegno da parte delle istituzioni.

Foto di Antonello Parrilla.