A buon mercato.

Non amo parlare di scuola. Di scuola parlano in tanti, forse troppi. E’ uno di quegli argomenti di cui tutti possono vantare qualche esperienza: anche quelli che la scuola l’hanno odiata più di ogni altra cosa possono affermare che loro ci sono stati e che l’istituzione scolastica dovrebbe essere diversa. Imparare e poi insegnare sono verbi che si coniugano da piccoli con una certa facilità. Sarà per questo che molti governi del nostro Paese se ne sono occupati: da Casati a Coppino, da Orlano a Gentile, da Gonnella a Berlinguer, dalla Moratti a Renzi, che nel maggio dello scorso anno è persino salito in cattedra per spiegare alla lavagna la legge 107 agli insegnanti e agli studenti che evidentemente non l’avevano ben compresa. In quella lezione, della durata complessiva di 17 minuti e mezzo, esistono elementi di sicuro interesse per i dirigenti scolastici che nelle scorse settimane ricercavano video degli insegnanti a figura intera. Della lezione si occupò in maniera puntuale Cristiano Raimo in un articolo sull’Internazionale. Raimo definisce il video come uno dei documenti più mediocri che questo governo molto comunicativo abbia prodotto. Da allora i likesono arrivati a 1.623 i dislikesono 18.478, mentre i commenti sono rimasti disabilitati. Se ragionassimo contando i mi piace, la discussione sarebbe già chiusa, ma qui si parla di cose serie e la democrazia a buon mercato non può togliere spazio alle parole precise.

Permettete allora, senza ripercorrere i temi della propaganda del Presidente del Consiglio, di esplicitare tre ragioni del completo fallimento della legge 107/2015. La prima riguarda l’organico: i docenti che servono alla scuola per funzionare. Nella scuola italiana si ragiona da anni contando un organico di diritto, che rappresenta la quantità minima di docenti assegnati alla scuola, ed un organico di fatto, la quantità sufficiente per garantire ad ogni classe i propri insegnanti. Ogni anno le scuole della Nazione chiedono docenti in quantità sufficiente ed ogni anno il Ministero, tramite gli Uffici Scolastici Regionali, assegna i docenti tagliando le classi ed elemosinando personale. Con la Legge 107 vi era l’idea di rivedere questo meccanismo provando a restituire alle scuole un maggior numero di docenti, più docenti di quelli necessari (organico dell’autonomia). I docenti non impegnati nelle attività in classe avrebbero potuto aiutare gli studenti in difficoltà, gestire corsi per potenziare le abilità dei più formati, dare alla scuola il loro contributo per le esigenze di coordinamento. Questi docenti sarebbero stati assegnati alle scuole a partire da un’analisi delle criticità della scuola stessa (RAV rapporto di auto valutazione). Ad esigenze diverse, insegnanti adeguati. Questo nella perfetta teoria. Nella pratica terrena invece è accaduto che le scuole hanno fatto analisi, riunioni, richieste per avere poi i docenti che erano disponibili, cioè quelli che insegnavano già da molti anni e che lo Stato avrebbe dovuto assorbire comunque, alla luce delle sentenze della Magistratura. Un disastro pedagogico prima, sociologico dopo. Scuole nel caos, classi pollaio, insegnanti che mancano, famiglie spezzate.

La seconda ragione del fallimento riguarda il merito. Si può valutare il lavoro di un insegnante? Certamente sì, come in tutte le attività esistono criteri per ragionare sulla qualità del proprio lavoro, ma il prodotto finale dell’insegnante è l’uomo e i fattori da tenere in considerazioni sono complessi. Ad ogni modo generalmente il lavoro dell’insegnante non è quello di un lupo solitario e ogni ragionamento sul merito dovrebbe presuppore una cooperazione educativa. Non si dovrebbero premiare perciò singole persone, ma consigli di classe, progetti, comunità con la conseguente logica di unire e non quella di dividere. Questo anche perché non è pensabile licenziare i docenti mediocri. Anche in questo caso le scuole hanno promosso discussioni, eletto comitati, creato griglie, ma il risultato è stato di pochi soldi in tasca a pochi insegnanti “non contrastivi”. Una macelleria messicana del valore dell’insegnante.

L’ultimo atto del fallimento è di natura politica. Appare chiara l’idea che per essere bravi basta rimboccarsi le maniche. La logica del meritoha sbaragliato definitivamente la cultura della solidarietà, il valore della comunità. Con la buona scuolal’aggettivo ha conquistato il terreno del sostantivo.

La democrazia, scriveva Piero Calamandrei, permette ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ecco io non pretendo di essere fra i migliori, ma vorrei la mia parte di sole per non lasciarmi vincere dallo scoramento.

apparso su asteriscoduepuntozero