Il sabato del villaggio del 18 gennaio 2020.

Quanne accirìne u porc
mi ni scappèje adàvete chiangenne 
e sunèje ’a catarre cchi nun sente 
chille grire strazzète. 
Ma quanne pó’ mi féce grannicèlle 
mi ci chiantèje tise mmenz’ ’a gente 
e pure ié, cch’i vrazze affurtichète, 
i’ére tante cuntente 
di réje u pére e appuntillè i chinucchie 
dasupre a quillu porc ca murìte 
da tutte chille mene attenagghiète. 
Ll’avére rutte ’a chèpe cchi na pétre 
si angùune mi dicìte 
– nun mbògghi’a Die – 
ca i’ére ancore zinne: 
ié c’apprime chiangìje 
e lle guardèje amère 
chilla murra arraggète di cristiène 
jttète supr’u porc ca scamàite 
cch’i grire c’arrivàine a la Pullère.*

ALBINO PIERRO

Gennaio, in Calabria, è il mese del maiale; il mese in cui, dopo aver allevato il sacro suino, si passa all’incasso. È un rito antico, che qualcuno ascrive addirittura al neolitico e che la mia Terra non ha smesso di praticare.
Nella maialatura, così la chiamano i dizionari della lingua italiana, la Calabria non è sola. Mi piace ricordare che nella piazza di Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, in Emilia, il porco ha un vero e proprio monumento, realizzato dall’artista olandese Kee Sansen. Quando ero bambino, capitava anche a me di assistere alle grida lacerate del maiale che moriva fra le mani insanguinate di una comunità allegra: era una festa, la festa dei contadini che gioivano dello scampato pericolo della fame. In questo sabato di macello preelettorale mi è tornata alla mente una di quelle mattine, una di quelle domeniche fredde dove la famiglia, all’alba, consumava, su un tavolo fatto di liste, il disperato omicidio.
Quel maiale, somiglia sempre più alla mia gente, che non si regge più in piedi, stretta da mille mani che predicano il bene, nascondendo u scannaturu. All’uomo che materialmente uccideva l’animale spettava l’ussu du purcaro, un pezzo non particolarmente pregiato, ma simbolo della forza e della stimanza della comunità.
Speriamo che non sia “la brutalità” di chi afferma, e urla e inveisce, ma non ragiona e non dimostra ad uccidere definitivamente questa regione.
È la mia terra a grondare sangue, in questo gennaio meno freddo di allora, ma più complicato, e temo che il sangue versato non sarà utile nemmeno per il sanguinaccio.

* Quando uccidevano il porco
Quando uccidevano il porco, / me ne scappavo di sopra piangendo / e suonavo la chitarra per non sentire / quelle grida lacerate. / Ma quando poi mi feci grandicello, / mi ci piantavo dritto in mezzo alla gente / e pure io, con le maniche rimboccate, / ero tanto contento / di reggergli il piede e di puntellarmi con le ginocchia / sopra quel porco che moriva / attanagliato da tutte quelle mani. // Gli avrei rotto la testa con una pietra / se qualcuno mi diceva / – Dio non voglia – / che ero ancora piccolo: / io che prima piangevo / e lo guardavo amaro / quel branco furente di cristiani /gettati sopra il porco che strepitava / con le grida che arrivavano alla Via Lattea.

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