Il cambiamento a buon mercato e gli ultimi giorni di scuola
8 Giugno 2018
Da casa a scuola sono esattamente 26 kilometri e 700 metri. Mi servono più o meno 25 minuti per percorrere il tratto di strada che va da Rossano, la città in cui abito, a Sibari, il luogo dove lavoro.
Il percorso è sempre uguale: nel tragitto, oltre agli agrumi, campeggiano le rovine dell’antica Sibari e le prostitute di colore. La strada statale 106 è un solco rude e scoraggiante in mezzo ai campi.
Le voci che ascolto sono quelle di Prima pagina. Le notizie mi accompagnano fino alla meta e nelle ultime settimane il protagonista indiscusso del dibattito è il Governo del cambiamento.
Mi fermo a comprare il giornale e a bere un caffè, oggi sono partito per tempo e posso permettermi il lusso di andare oltre i 25 minuti rituali. Nonostante l’orologio dell’auto sia più clemente, faccio più fatica del solito. Forse perché la stanchezza degli ultimi giorni di scuola è un fardello pesante da portare per un insegnante: persino scegliere il giornale da comprare è difficoltoso. Alla fine prendo il Corriere della Sera, oggi c’è un articolo di fondo che sono curioso di leggere.
Pago, rubo qualche voce del bar e riparto.
Tanti dicono che le cose sono cambiate o che si apprestano a cambiare: Il Governo porterà una trasformazione e tutti quanti stanno già aspettando.
Io intanto vedo il paesaggio solito e la stessa medesima donna ferma in una macchina nel mezzo di una piazzola. Corro dietro una notazione lessicale di un radioascoltatore. La parola che mi rapisce è rara e la pronuncia straniera le dona un vestito buono che non mi aspettavo. Sono nuovamente fermo al semaforo, il secondo. Un africano pulisce come può i vetri dell’auto e chiede una moneta. Ringrazia con un sorriso mentre io riparto. Ricambio. Pochi minuti e sarò a scuola.
In quarta oggi farò l’ultima lezione. Sto lavorando su Manzoni e l’antologia propone come ultimo brano antologico un approfondimento sul personaggio dell’Innominato: un grande classico.
Con Manzoni mi sento a mio agio, amato sin da subito per via della professoressa Gallavotti. A lei e a molti miei insegnanti debbo moltissimo, non meno di quanto devo a mia madre o a mio padre. Saluto Mimmo ed Agostino, firmo la presenza (una storia che prima o poi dovrò raccontare) e salgo in aula.
In tanti non sono a scuola. Qualcuno ha cominciato a lavorare per la stagione estiva e qualcun altro ha deciso di anticipare la fine. Vorrei lamentarmi, ma capisco che sarebbe inutile.
Tiro fuori il libro dalla borsa ed inizio a leggere.
Tutto quello che oggi ho da dire ai ragazzi è nel testo. Le parole che mi servono sono le stesse che l’Innominato chiede alla Vecchia quando Lucia arriva al Castello: “Falle coraggio, ti dico. Tu sei venuta a codesta età, senza sapere come si fa coraggio a una creatura, quando si vuole! Hai tu mai sentito affanno di cuore? Hai tu mai avuto paura? Non sai le parole che fanno piacere in que’ momenti? Dille di quelle parole: trovale…”
Il punto è ancora una volta il coraggio, come Nelle Terre di Oz: la via stretta del cambiamento passa dal rimorso di non aver fatto diversamente. La sofferenza dell’Innominato è scritta nella propria colpa e non in quella degli altri. Le cronache del cambiamento e quelle della conversione sono marcate dalla consapevolezza di sé, dal riconoscimento della propria scelleratezza. Ciò che servirebbe a me, alla mia scuola e al mio Paese è null’altro che questo.
La campana suona. Inciampo su una parola, raglio un concetto, ma per fortuna Manzoni mi soccorre.
Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una più che curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa.