Hammamet

Hammamet è un film da vedere.

Tentare il racconto di una delle figure più importanti della politica italiana fra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’90 credo sia, oltre ad un merito del Maestro Amelio, cosa buona e giusta.

Il regista calabrese, a vent’anni dalla morte leader del Partito Socialista Italiano, fa rivivere Bettino Craxi attraverso una magistrale interpretazione di Pierfrancesco Favino, decretando la fine dell’intollerabile damnatio memoriae, caduta su una figura che rappresenta un importante tassello della storia italiana; Craxi dopo esser fuggito nel maggio del 1994 e dichiarato ufficialmente come latitante dal 21 luglio 1995, viene liberato, anche grazie a questo film, dall’esilio storico-politico a cui lui stesso si è consegnato non dimostrando alcuna fiducia nella giustizia italiana che reputava incivile.

Il film di Amelio ha il merito di restituire a Bettino Craxi la stretta umanità dell’uomo, ammalato e spogliato da ogni sua funzione civile. La figura di Stefania Craxi, trasfigurata in Anita, nome proprio di un amore tutto garibaldino, custodisce lo sguardo dei giorni più duri del proprio padre.

E’ forse la rinuncia all’analisi politica, che pure appare di innegabile spessore in diversi passaggi (in particolare quello meraviglioso con uno straordinario Renato Carpentieri), la più grande vittoria del Maestro Amelio, che sottrae quello che Scalfari definì in un celebre articolo il Ghino di Tacco della I Repubblica alle semplificazioni: quelle di chi lo vede stupidamente come un inguaribile ladro e quelle di chi in questi giorni vorrebbe farne un inutile santino.

Amelio, costretto dalla necessità drammaturgica a sfoltire la vicenda politica, amplifica la parabola umana di un uomo costretto a portare, sino agli ultimi giorni, Il fardello della storia. Fardello di cui si era liberato facilmente l’ispirato Andreotti di Sorrentino, e che probabilmente non aveva accettato di portare il Caimano di Moretti.

E’ proprio l’inverosimiglianza della vicenda politica di Bettino Craxi, strangolata nel suo essere da Tangentopoli, a toccare profondamente l’intreccio narrativo che, pur mitigato dalla scelta di raccontare esclusivamente gli ultimi mesi della vita del noto segretario del PSI, vede materializzarsi il nemico che Craxi aveva combattuto con più asprezza: la demagogia.

I giorni privati, di un uomo che per tutto il tempo ha celebrato un rito pubblico di prima grandezza, sembrano attenuare i rumori, le urla il clamore riproposto persino in una scena sulla spiaggia lontana, nello spazio e nel tempo, di Hammamet: un fracasso a cui Craxi non solo non fu alieno, ma contribuì a creare con una politica ad opzione zero.

Dopo aver visto la pellicola di Amelio i fischi dei socialisti a Berlinguer nel Congresso di Verona dell’84, ci sembrano ugualmente colpevoli, ma meno sgarbati e se è vero che non vi sia traccia della feroce lottizzazione della RAI, del consumo selvaggio del suolo, del rampantismo di quegli anni è altrettanto chiaro intravvedere nell’uomo con il garofano il piglio deciso di chi compie scelte dirompenti e decisamente controcorrente.

Nel finale la vicenda si trasferisce a Milano, in un futuro onirico senza umanità, dove il corpo del leader, ormai sbranato dal diabete e dagli scandali, è oggetto di una disumana e spregevole satira, quasi una prefigurazione dei guasti spettacolari di quella legge Mammi, fortemente voluta dal PSI del tempo e che vide nel nostro Presidente Mattarella un fiero oppositore.

Una buona occasione per me di leggere il libro di Fabio Martino, Controvento, ripensare a l’unico uomo politico presente, per volontà della famiglia, ai funerali di Aldo Moro e comprendere meglio il rapporto fra due socialisti irruenti: mentre studio la volontà di Craxi, impertinente torna la grazie di Pertini.

Burattino realizzato da Fatti di Carta.