Perchè no

Capita in alcune rare occasioni di scrivere per necessità, guidati dalla voglia di fissare imperterriti lo stesso oggetto nella speranza di una rivelazione. Rivelazione quanto mai necessaria all’elettore comune che non frequenta corsi di diritto costituzionale e non comprende i meccanismi del combinato disposto. Certo potendo si sarebbe volentieri fatto a meno di tanta inutile propaganda elettorale sulla pelle della nostra Carta Costituzionale, eppure per capire basta prendere coscienza dei nostri limiti, fissare lo sguardo, concentrarsi su un punto preciso sfocando tutto il resto, eliminando i disturbi. 

Basterà sgomberare il campo visivo dal nostro onnipresente Presidente del Consiglio, Matteo Renzi: forse non valeva la pena votarlo già alle europee del 2014, dopo il tradimento sacrilego di un suo compagno di partito, sicuramente non vale la pena parlarne dopo le successive mille giravolte da Tartufo che hanno caratterizzato la sua politica di questi anni. Sgomberare il campo della sedicente Ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, impegnata ad imbastire trame non sempre visibili ad occhio nudo.

Basterà sgomberare il campo da Massimo Dalema e da Silvio Berlusconi: avrebbero avuto modo negli anni andati di fare meglio se solo avessero voluto, se solo avessero usato il loro riconosciuto carisma per il bene del Paese.

Importante invece è guardare alla nostra Carta Costituzionale: interrogarla nei suoi valori fondanti per capire se questa riforma, insolitamente propugnata dall’esecutivo, possa rispettare quelli che ancora oggi molti ritengono essere i principi fondamentali del nostro vivere civile. Guardandola ci sembrerà, miracolosamente, di non averla mai vista prima. Tornando a lei capiremmo che il mito della governabilità è diventato insopportabile. Era discutibile già un decennio fa quando in Italia si recavano alle urne mediamente 8 cittadini su dieci e la democrazia non era così fragile, nonostante la presenza dell’allora premier Silvio Berlusconi. L’idea di dover riferire ogni scelta al pari e dispari di chi vince e chi perde non solo non è nello spirito del testo, ma è fuori da ogni costrutto veramente democratico. Non si tratta di valutare i rischi di una deriva autoritaria, ma piuttosto prendere atto che in molte parti del Paese, in molte parti dell’occidente democratico, si governa con il 25% dei consensi. Di fronte a tanti che non fanno politica, a tanti che si disinteressano, a molti che non votano, tanta parte della politica risponde con la favola della governabilità invece che con la parabola della partecipazione.

Tornando alla Carta ci accorgeremmo che il nostro Paese è fermo non a causa del bicameralismo perfetto, ma per colpa delle stanze del malaffare, della corruzione, per colpa di scelte che ogni volta vengono bloccate o rimandate da discutibili determinazioni di parte. Ci accorgeremmo che il Paese è fermo perché non è più capace di imbastire una discussione veramente democratica, non è capace di confrontarsi sui problemi, non partecipa responsabilmente alle scelte. Ci accorgeremmo che il Paese è fermo perché la nostra democrazia è fondata su un lavoro che in molti casi diventa miraggio, su una economia presuntuosa, su una propaganda che non risparmia nemmeno i nostri bambini. Cambiare è auspicabile, ma per farlo bisogna cominciare ad essere onesti: la prima onestà è quella dell’intelletto.  Per cambiare verso, senza che questo rappresenti uno slogan, bisogna avere idea di una direzione, sia pure sognata. Non basta fare un passo fuori dal pantano, è necessario uscirne andando nella direzione giusta. 

Per questo il prossimo 4 dicembre voterò No: non mi piace la filosofia di una riforma che riduce gli spazi di partecipazione civile e non mi fido di chi in oltre 1.000 giorni di governo ha lavorato quasi esclusivamente per dividere il Paese. Questa non solo è stata una campagna elettorale feroce, ma ha finito per allontanare ancora una volta la politica dalle urgenze dei cittadini.

Francesco Gallo. 

apparso su asteriscoduepuntozero