Chi ha distrutto il presepio?

Chi ha distrutto il presepio?

Natale in Casa Cupiello di Eduardo De Filippo è certamente più di un capolavoro, oltre a rappresentare un testo ponte, come chiarisce Anna Barsotti nel volume “Eduardo drammaturgo”, pubblicato nel 1995 da Bulzoni, è per moltissimi un’icona: la più fortunata, della tradizione teatrale partenopea. Questo non avviene solo per la rievocazione rituale che vede Luca Cupiello artefice sacro della narrazione della natività del poverello d’Assisi, ma per anni di fortunate riprese della vicenda ad opera dello stesso Eduardo. Riprese che coinvolgono la biografia stessa dell’opera, nata come atto unico nel 1931 (il secondo attuale), ampliata fra il 1932 e il 1934 con il debutto al Sannazzaro e completata nel 1943 con la scrittura del terzo atto. 

Il Natale di Eduardo, insomma, è una festività che cambia proprio a cavallo del secondo conflitto mondiale, fra i giorni pari e i giorni dispari, mentre il sodalizio fra i fratelli De Filippo si sfalda. 

Alla storia testuale si potrebbero aggiungere le storie delle numerose messinscene e il veleno di quel teatro all’improvviso che Peppino racconta nella sua famiglia difficile e in alcune interviste che sono testimonianza di una ferita che continua a sanguinare. Il veleno dell’improvvisazione, inoculato da Peppino De Filippo, finisce per intossicare persino le intenzioni autoriali: sarebbe lui, nei fatti, l’inventore del leitmotiv del testo “Nun mi piace ’o presepio”.

Nella disputa fra Luca Cupiello e Tommassino, tutti i personaggi intervengono ad amplificare una frammentazione simbolica che presto diventa cifra stessa della scrittura drammaturgica. Il presepe in Natale in Casa Cupiello, pietra angolare della tradizione partenopea, […] luogo mitico in cui non esite conflitto – scrive Angelo Puglisi – è ben sventurato, sottoposto da tutti a multiforme avversione. 

L’ostilità è la legge su cui i giorni dispari metteranno radici. 

L’odio, l’infastidita sufficienza, l’ironica condiscendenza, il vandalismo, lo scherno, l’isteria seppelliranno Luca Cupiello e la sua ingenua bonomia. Così come nulla resta dei libri di Chisciotte, nessun pastore di Luca occupa una posizione legittima.

La sorte del conflitto finisce per travolgere la compagnia stessa del genio napoletano: comico e tragico si sfidano e nel combattimento fra il Tommasino di Pietro De vico e il Nennillo di Luca De Filippo, fra la Concetta di Nina De Padova e quella della Maggio muore l’ultimo tentativo di tenere tutto assieme ordinatamente.

Siamo già a raccontare il mito del Natale in casa Cupiello: un mito su cui ogni ragione viene meno. Inutile, perciò, proferire altre parole sugli allestimenti sorvegliati dallo stesso autore, che hanno ragione di essere studiati come pagine in grado di restituire sfumature preziose a chi vuole mettersi in ascolto del drammaturgo, del regista e dell’attore Eduardo, inutile aggiungere sospiro a chi ama spiare il teatro da una sala prove o dalla stanza condivisa dai fratelli De Filippo. 

A chi, invece, si interroga, sugli esiti natalizi di Eduardo che continua a dire la sua in prima serata su Rai 1, si chiede semplicemente di non dimenticare l’Eduardo critico del populismo, l’Eduardo che in una meravigliosa poesia non trova conveniente la risata, l’Eduardo che rimprovera Peppino di indisciplina scenica, l’Eduardo che non tollera “un Don Antonio in più”, detto da un attore immenso come Gino Maringola. Se è vero che l’arte non è di proprietà dell’autore, ma dell’uomo che continua ad interrogarla per comprendere i suoi giorni, è altrettante vero che il lavoro di ripresa ha l’arduo compito di problematizzare l’opera, di rimetterla al centro del dibattito in un tempo che non è esattamente proprio. Così accade ogni volta che ritorniamo con lo sguardo alla Gioconda, ogni volta che i versi di Dante tornano alle labbra di un lettore: del resto un classico diceva Italo Calvino, è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire, qualcosa che continuiamo ad interrogare perché sfugge all’eterno presente del post-moderno. 

Chiedo a chi è arrivato in fondo a questa piccola bagattella, quale scorcio, vecchio o nuovo, del presepe eduardiano è illuminato per la prima volta, o semplicemente in modo nuovo, dalla ripresa di Vincenzo Salemme, chiedo ai tre lettori che potrei nominare, quali fantasmi si aggiungano alla visione di Pasquale Lojacono nella regia di Alessandro Gasmann. Lo chiedo perché, pur incapace di comprendere, non intendo lasciare libero il campo a chi pensa che non si possa aggiungere fiato alla scrittura di un genio. Io, che fortunatamente non esercito la professione di critico teatrale, posso cedere ad una battuta: a me pare carne c’ ‘a pummarola.

Felice 2025!

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Francesco Gallo

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